Prima di calarmi su Eora avevo a malapena idea di cosa fosse Pillar of Eternity; e per questo chiedo venia.
Apro così questa recensione per una sola, ma assolutamente rilevante ragione: quello di Pillar of Eternity è l’universo su cui si poggia il nuovo titolo degli Obsidian Entertainment, Avowed.
Per quale ragione ho ritenuto necessario fare questa introduzione? Molto semplice: perché mi sono ritrovato a vagare in un universo narrativo sfaccettato e mitologicamente enorme. Mi è parso sin da subito chiaro che Avowed non rappresentava l’introduzione a quel mondo, bensì un suo naturale sviluppo. Da questo punto di vista la memoria è balzata immediatamente dalle parti di Bethesda e del suo The Elder Scrolls; con quel suo peculiare ordine mitologico.
Vecchio ma non obsoleto
Mi tolgo immediatamente un dente, quello più avvelenato: Avowed è concettualmente e tecnicamente datato. Tutto sembra appartenere a una generazione che ci ostiniamo a considerare svanita alle spalle. ma che puntualmente torna a fare capolino con una certa prepotenza. Detto questo, non dobbiamo commettere l’errore di credere che tutto ciò sia necessariamente un male, anzi. Ho sempre creduto che la ricerca ossessiva dell’innovazione – almeno in questo medium – porti con sé l’inevitabile stagnazione. È cosa buona e giusta sperimentare e innovare, a patto però che sia sostenibile, economicamente ed eticamente.
Se consideriamo gli ormai fragorosi tintinnii dell’intera industria, ritengo che siano proprio titoli come Avowed a riportare tutti, nessuno escluso, con i piedi per terra. La bontà di un’opera non può misurarsi esclusivamente sulla cieca modernità. Una buona storia è tale anche se implementata su un telaio che mostra i suoi anni; e se questo telaio, al netto dell’età, si rivela più che buono, per quale ragione non goderne?
Effetto Iceberg
Personalmente ho trovato Avowed divertente e decisamente colto dal punto di vista narrativo. Siamo ormai a tutti gli effetti assuefatti dal “lore” nei giochi di ruolo, dove anche il più ameno degli elementi di design diventa spunto di pindariche – e spesso inutili – riflessioni. Bene, Avowed da questo punto di vista offre un mondo sterminato di folklore e mitologia. Fatti e antefatti approfonditi da centinaia di testi consultabili, oggetti, ma anche abitudini, usi e costumi che delineano un universo narrativo pulsante; vivo. Sarebbe appropriato immaginare il mondo di gioco come un iceberg: gli eventi contemporanei rappresentano ciò che a malapena emerge, ciò che invece resta sommerso è un universo narrativo enorme, costituito da millenni di eventi. Sono rimasto folgorato da tutto ciò, da questi accadimenti che affondano le proprie radici in tempi persi nella storia. Ancora una volta la memoria ha ridestato i vecchi The Elder Scrolls, e non solo per via della sua narrativa…
Fendenti, palle di fuoco e… proiettili!
Ludicamente parlando, Avowed non si pone alcun obiettivo se non quello di sfruttare ciò che in fatto di gameplay conosciamo a menadito. I combattimenti, che a volte mettono a schermo fin troppi elementi, sono dinamici ma non per questo poco fluidi. Un costante alternarsi di schivate e parate, contrattacchi e affondi pesanti. A influenzare questa dinamica ci pensa l’ottimo grado di orientamento delle caratteristiche. Possiamo lasciare il melee ai compagni, funestando i numerosi mob del gioco con stregonerie di ogni sorta o persino armi da fuoco; qui infatti è presente una meccanica ibrida presa in prestito direttamente dagli shooter, che ci mette fra le mani pistole e archibugi.
Sorprendente è stata la stabilità tecnica generale. A essere totalmente onesti mi aspettavo la qualunque in fatto di bug, crush e chi più ne ha più ne metta; in particolare dopo le dichiarazioni di Carrie Patel, la director del gioco, che avvisava dei “problemi” che Avowed avrebbe potuto avere nei primi mesi di vita. Ma a parte qualche inezia legata all’audio, il gioco non mi ha mai messo di fronte a problematiche più o meno degne di essere riportate.
Peccato che…
Per quanto riguarda il consueto level design, possiamo imputare poco ad Avowed se non quello di non aver osato di più. Il mondo di gioco è indiscutibilmente bello e ben caratterizzato, con architetture talvolta sorprendenti e con scorci panoramici di grande impatto, ma non appena si abbandonano gli insediamenti urbani, l’impressione che si ha è quella di una frequente ridondanza con aree fin troppo simili fra loro. Discorso simile per i dungeon, strutture centrali in esperienze di questo genere. Anche qui passiamo da zero a cento con poco: troviamo dungeon dal design ricco e articolato, capaci di restituire un notevole senso di verticalità, ad altri totalmente anonimi. Un gran peccato se consideriamo il buon livello della qualità visiva.
Da manuale, invece, il character design, che pesca a piene mani dal più basico abbecedario di stampo fantasy. Non che manchino guizzi di originalità, ma i personaggi e i mob che incontreremo desteranno tutti un forte senso di familiarità. Senza infamia e senza lode mi verrebbe da dire. A compensare questa carenza di creatività ci pensa l’ottima qualità dei modelli, a mio avviso il vero scatto in avanti tecnico dell’opera.
Riflettendo…
Concludo con una riflessione del tutto personale. Avowed è un titolo che mostra tutte le caratteristiche, debolezze comprese, di una produzione in bilico fra la doppia e la tripla A, questo è un fatto. Ciò nonostante, è altrettanto un fatto che opere come Avowed ci suggeriscono di rallentare, di smetterla di tentare di raggiungere chissà quale iperuranio della tecnica, proponendo invece giochi più semplici da lavorare ma non per questo banali. Preferirei altri cento titoli di questa risma piuttosto che il quadrupla A dai costi biblici il cui destino sarà, quasi inevitabilmente, naufragare assieme a metà degli addetti ai lavori.
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