Batman svetta appeso a un'enorme insegna al neo rossa che recita "GOTHAM"

C’è una storia che non credo abbiate mai sentito. Allora: c’è una città in America marcia fino alle fondamenta, dove il crimine non dorme mai, ma la polizia spesso e volentieri chiude entrambi gli occhi. In questo bel posticino chiamato Gotham si aggira un vigilante che sta messo peggio dei cattivi cui dà la caccia: esce soltanto di notte con un costume a dir poco ridicolo, pesta brutalmente chiunque sgarri con la legge e brucia tutti i semafori rossi a bordo del suo macchinone. Il ragazzo, bisogna capirlo, ha subito un trauma in tenera età: i genitori sono stati uccisi davanti ai suoi occhi e… come, la conoscete già? Beh allora scusate. In ogni caso, se non avete chiuso la pagina, vuol dire che non siete ancora stufi di questa storia. E meno male, perché la nuova serie animata dimostra che, a dispetto della sovraesposizione degli ultimi decenni, c’è ancora qualcosa di interessante da raccontare sul vecchio pipistrello.

Rinascita di un eroe

Quando si leggono le parole “Batman” e “serie animata” nella stessa frase, è impossibile non tornare con il cuore al 1992. Se poi tra i produttori esecutivi compare il nome di Bruce Timm, che della storica serie era stato il co-creatore (assieme a Paul Dini) prima di diventare il mastermind dell’intero DC Animated Universe, allora scatta necessariamente il momento “Nostalgia Canaglia”.

Batman: the Animated Series si è ritagliata un posticino speciale nel cuore di almeno una generazione di spettatori per la spigliatezza con la quale sapeva destreggiarsi tra intrattenimento per bambini e una scrittura tutt’altro che banale. Eppure, Timm ricorda bene i paletti imposti dal network. Dopotutto, per quanto profondo e filologicamente accurato potesse essere, BtaS era pur sempre uno show per ragazzi e un qualche tipo di filtro era inevitabile. In trent’anni, tuttavia, ne sono cambiate di cose: la fioritura dei servizi di streaming, per esempio, legata a doppio filo con l’evoluzione del linguaggio seriale, tale da cambiare radicalmente il modo in cui si guarda la TV. E poi siamo cambiati noi: ingrassati, spelacchiati, ma ancora irriducibili “batfan”. In questo nuovo ecosistema televisivo, Batman: Caped Crusader può finalmente svolazzare lontano da inutili edulcorazioni e libero di prendersi qualche licenza poetica.
Il cambio di registro appare evidente sin dalle prime immagini, dove una Gotham marcia fino al cuore pulsa corruzione fin dentro le arterie dei suoi abitanti, siano essi innocenti, criminali o solo poveri sciagurati. Queste anime perse, spezzate da una brutta giornata di troppo, non conoscono redenzione né una via d’uscita dalla spirale di dolore e rivalsa di cui tutte loro sono cadute vittime.

Gli appassionati riconosceranno alcuni vecchi nemici, tornati con qualcosa di vecchio, qualcosa di nuovo, e, soprattutto, qualcosa di tragico. La scelta degli autori è stata quella di mondare i caratteri da tutti i gimmick ridicoli e di gettarli con tutte le scarpe in un contesto pseudorealistico. L’effetto finale è squisitamente weird — come vedere qualcuno che si conosce da una vita con la sensazione di incontrarlo per la prima volta — (ma, va detto, non sempre riuscito): per una dottoressa Quinzel finalmente in una veste “solista” da brividi, ci tocca assistere a un pigro e francamente inutile gender swap del Pinguino. Ritroviamo anche Clayface, alias Basil Karlo, un attore che, nel tentativo di fuggire dal ruolo di villain per il cinema, finisce ironicamente per assumere la forma del contenitore che gli hanno costruito intorno. Ma la più riuscita di queste “variazioni sul tema” è senza dubbio quella di Due Facce.

La sua posizione centrale nell’arco arco diegetico ha permesso di inscenare finalmente una metamorfosi che renda giustizia alla complessità psicologica del personaggio. Il procuratore distrettuale Harvey Dent è un personaggio guidato da una smodata ambizione e da una moralità quantomeno ambigua, fattori che lo spingono a tentare la fortuna in un gioco molto pericoloso. Quando tenterà di riprendersi la propria integrità, finirà per perderla definitivamente. Harvey è, in sostanza, una vittima dello stesso male che affligge Gotham e, allo stesso tempo, un carnefice già prima dell’incidente che lo porterà al punto di non ritorno — forse non è esagerato dire che l’acido abbia semplicemente lavato via la maschera per mostrare la dualità che si celava sotto pelle. Il tema del doppio qui ricorre non già come espediente macchiettistico, ma come spunto di riflessione su temi quali la doppia identità, la caduta e la redenzione, le seconde opportunità, il confronto tra luce e ombra e i confini non sempre nitidi che separano il bene dal male. Tali dilemmi sono incarnati simbolicamente dal villain, ma non sono certamente una sua esclusiva: Jim Gordon dovrà fare i conti con la sua visione binaria della giustizia, mentre sua figlia Barbara invece si ritroverà a fare il percorso inverso.

E poi c’è Batman, simile, per certi aspetti, ai pazzi ai quali dà la caccia, ma con una differenza sostanziale che si delinea dal confronto con le sue nemesi, come se ognuna fosse una specie di specchio distorcente che riflette un aspetto particolare della sua personalità. Del Pinguino, osserviamo la medesima necessità di fingersi un normalissimo membro dell’alta società Gothamita come copertura per le proprie attività nascoste. Di Harley Quinn, ricalca la fredda minuziosità con la quale seziona la psiche dei suoi avversari. Di Due Facce riflette invece l’aspetto più scontato: il conflitto tra due anime che abitano lo stesso corpo. Questa galleria degli specchi assume le caratteristiche di un percorso pedagogico (nonché terapeutico). Attraversandola, l’eroe ha l’occasione di imparare una lezione su sé stesso e rimettere insieme i cocci della sua psiche. In principio, osserviamo infatti un “mindhunter” freddo, distaccato, uno strumento meccanico della giustizia nato (o costruito) dal desiderio di vendetta. Ma poi Batman fa una cosa che nessuno dei suoi avversari è mai riuscito a fare: va avanti, trova un’uscita d’emergenza a quella stessa spirale pantoclastica di dolore e rivalsa che intrappola tutti i suoi antagonisti.

Questa via d’uscita si apre attraverso le relazioni con quelli che per ora sono “semplici” alleati, ma che con il tempo diventeranno membri di una vera e propria famiglia. Ma perché la transizione da vigilante a eroe possa dirsi completa, occorre un ulteriore passo. Che cosa accadrebbe se ai criminali venisse concessa la stessa opportunità di chiudere i conti col proprio passato? È la risposta a questa domanda che segna la differenza tra Batman e i suoi antagonisti, dona alla sua crociata un nuovo significato e a Gotham City l’eroe di cui ha davvero bisogno.

I nottambuli

Chissà perché poi ce l’hanno tutti con Gotham. Va bene la sua storia impregnata di sangue, ma non si tratta forse del fertilizzante alla base di ogni civiltà della storia? Va bene anche il clima caldo umido, il tasso di criminalità che non accenna a calare, il numero incalcolabile di squinternati in maschera, e la corruzione ormai endemica presso le istituzioni, ma nessuno di questi elementi potrà mai scalfire il fascino del cuore oscuro d’America. In ogni possibile risvolto del multiverso, Gotham sarà inevitabilmente il più maestoso conglomerato brulicante di vita, dannazione e follia che si possa trovare. Non dico viverci, ma scommetto che un salto nella megalopoli di vetro e cemento di Nolan non dispiacerebbe a nessuno, e magari passare il Natale nel sogno gotico e fritzlangiano partorito dalla testa scapigliata di Tim Burton. E chi è che non farebbe volentieri un giro in dirigibile nella Gotham di BtAS, galleggiando con disinvoltura tra linee art decò e turbolenze retro-futuriste?

Per questa versione desaturata di Gotham, invece, Bruce Timm decide di dare un taglio con ogni sorta di indeterminatezza cronologica. Addio zeppelin e giustapposizioni dieselpunk, dunque: se proprio un noir deve essere, allora che lo sia a tutti gli effetti. Il Bat-Computer e i giocattoli ipertecnologici sono storia passata (o futura, come vi pare). Al loro posto troviamo uno grosso schedario, una lavagna trasparente, un microscopio e tanti aggeggi old fashioned per una lotta al crimine vecchia maniera. È questa un’era in cui non tutto è stato ancora mappato e una leggenda metropolitana ha tutto lo spazio per ammantarsi di mistero e crescere nelle tenebre. Ma dall’ombra emergono anche inquietudine, pessimismo e solitudine; è il sentimento di un’epoca rievocato dai rimandi più o meno espliciti alle opere di Edward Hopper che ci mostrano i protagonisti di questa storia ognuno perso nel proprio limbo esistenziale e costretto ad affrontare la marea da solo. Ma, come recita un fortunato monologo, “la notte è più buia poco prima dell’alba”. Difatti, quando gli eroi iniziano a comprendere l’importanza della fiducia e della cooperazione, l’oscurità lentamente si dirada lasciando intravedere la luce della speranza che da troppo tempo manca a questa città.

Batman – l’eterno ritorno

Possono metterlo al tappeto, possono spezzarlo, possono capitare crisi di ogni genere, ma una cosa è certa: Batman ritorna sempre. È ciò che sa fare meglio. Lo aveva capito Frank Miller, lo aveva capito Tim Burton e lo aveva capito Grant Morrison che lo fa ritornare sin dall’alba dei tempi. Questa volta è il turno di Bruce Timm con un curioso ibrido tra un prequel e un whatif che antecede gli eventi nella golden age dei fumetti. Una riscrittura magari non esente da difetti, ma, al netto di alcuni personaggi non a fuoco e di animazioni a dir poco scadenti, assolutamente indispensabile.



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