A pochi giorni dalla sua uscita, Marvel’s Spider-Man 2 ha già potuto celebrare importanti traguardi, di vendite in primis, confermando non solo la buona tradizione commerciale degli story driven firmati Sony, ma anche la potenza di alcune licenze, come per l’appunto quella di Spider-Man, la killer app targata Marvel per eccellenza, anche al di fuori dei videogiochi.
Il successo di questo capitolo presumo abbia sorpreso poco, d’altronde entrambi i precedenti avevano dimostrato di solleticare ferocemente il pubblico, polarizzando il giusto i più navigati e fidelizzando al contempo un nutrito numero di giocatori della domenica: quelli che normalmente comprerebbero e giocherebbero ad altro. L’efficacia di titoli simili è a mio avviso riscontrabile prevalentemente in quest’ultima categoria (eccettuati i fan di Spidey naturalmente), e appare ovvio non appena si getta uno sguardo più attento al game design.
Prima di snocciolare la questione, diciamo subito che Marvel’s Spider-Man 2 è un buon titolo capace di conferire al giocatore genuine ore di divertimento. Il lavoro di Insomniac Games è stato quello di confermare l’ottimo risultato tecnico capitalizzato dalle precedenti esperienze, coadiuvandolo a un canovaccio narrativo che funge da fulcro all’intera esperienza.
L’intero gioco gravita attorno a i due Spider-Man, Peter e Miles, impegnati a far quadrare le loro vite con quelle dei rispettivi alter ego. Le vicissitudini quotidiane, fra precarietà e incertezza, fanno a pugni con le costanti necessità della Grande Mela. N.Y è infatti il cratere dello scontro più duro che i due arrampicamuri (e la città) abbiano mai affrontato, contrapponendoli niente meno che a Kraven e Venom.
In entrambi i due casi notiamo subito come Insomniac si sia avvalsa di numerose licenze poetiche. Nel primo abbiamo una profonda reinterpretazione dell’opera capolavoro di DeMatteis: L’ultima caccia di Kraven. Nel secondo caso invece, un’originale lettura della genesi del Simbionte, che apparirà del tutto diversa rispetto a quanto letto a partire da The Amazing Spider-Man 252. Il perché di queste libere interpretazioni è da imputare ancora una volta al game design, oltre a ovvie scelte di sceneggiatura (vi ricordo che in questo capitolo c’è anche Miles). Vorrei inoltre ricordare quanto siano diversi, in termini di linguaggio e semiotica, fumetto e videogiochi. Al netto di ciò, la storia di questo nuovo capitolo è godibile a patto che si scenda a compromessi con la sua natura stilistica: chi si aspetta la maturità di Straczynski [autore di un importante ciclo di storie di Spidey, NdR] resterà deluso. In questa iterazione il clima narrativo generale è quello tipicamente eccezionalista, con quel classico sottotesto moraleggiante che ha definito oltre mezzo secolo di fumetto supereroistico. Ma a scanso di equivoci, Marvel’s Spider-Man 2 non ha una scrittura idiota: la storia è semplice, scevra da chissà quali manierismi e forte di un buon lavoro di mestiere.
Schiva questo!
Per quanto questo Spider-Man sia stato platealmente pensato per essere un’esperienza narrativa, non possiamo non ammettere quanto in realtà sia il gameplay ad attrarre e a impattare maggiormente sul feedback del giocatore, in particolare se teniamo conto del soggetto dell’opera in questione. Sarebbe inutile e disonesto negarlo.
Avendo provato sin dalla preistoria ogni incarnazione videoludica del brand, ho ben compreso quanto sia determinante la possibilità di incarnare fedelmente e liberamente Spider-Man. Più i suoi movimenti – e relative evoluzioni aeree – saranno fedeli e ben proposti, più il risultato in termini di sense of wonder aumenterà. È un rapporto fisiologico. Ed è per questa ragione che sottolineo il grande lavoro di Insomniac. Muoversi per i dedalici quartieri newyorkesi non è mai stato così cinetico e appagante, proponendo quella che per me è l’esperienza definitiva in fatto di videogiochi su Spider-Man.
L’altro punto di grande interesse è dato dal combat system. Sono ormai anni che conosciamo il free flow, che abbiamo imparato ad apprezzare soprattutto in titoli action di stampo supereroistico (la saga di Arkham su tutte), eppure con questo Marvel’s Spider-Man 2 abbiamo raggiunto lo zenit. Mai maneggiato un free flow così dinamico e fluido; estremamente divertente e capace di stimolarmi come pochi altri titoli sono riusciti a fare ultimamente. Che siate Peter o Miles non fa alcuna differenza: entrambi godono di routine di combattimento uniche e spettacolari, che non ci faranno mai rimpiangere il passaggio da un personaggio all’altro.
New York, New York
L’ambiente che fungerà da palcoscenico, come ampiamente detto, è New York, La città che non dorme mai, e giocando questo capitolo capiremo bene il perché. La metropoli è vibrante, caotica; e lo sarà sempre di più man a mano che avanzeremo nel gioco. L’impressione è che qualcosa di grande stia sempre per accadere. Anche questo è un tratto distintivo della natura stilistica dei “comics”: c’è sempre un qualche pericolo in agguanto, che cova nell’ombra per poi esplodere in tutta la sua violenza. Viene quasi da chiedersi che senso abbia vivere in una città che rischia di esplodere, sempre, da un momento all’altro. Ma sospendiamo ancora una volta l’incredulità e capiamo invece cos’ha di così meraviglioso il nostro ambiente di gioco.
New York è stata proposta nel medium talmente tante volte, da essere arrivato alla deduzione che sia la città più rappresentata nella storia dei videogiochi (sarebbe curioso verificarlo); ne consegue che non stupisce ormai più di tanto scoprire che sarà il palcoscenico di un qualsiasi nuovo gioco. Eppure, nonostante sia già la terza volta che la città appare in questa nuova serie, il team di Insomniac è riuscito ugualmente a proporre un design ambientale dal grande valore. Alcuni quartieri su tutti, sembrano essere stati provvisti di vitalità e peculiarità enormi. Harlem per esempio, sembra respirare quell’aria vibrante che tanto la contraddistingue; pur tenendo sempre conto della nota “eccezionalista” di cui sopra. Specifico questo punto per semplice onestà intellettuale. New York, che oggi sta attraversando un’infausta recrudescenza di crimine e disagio, è nel gioco rappresentata come una metropoli iper solare e cangiante, dove apparentemente tutti sono buoni e si vogliono bene; eccezion fatta per quei pochi criminali che hanno intenzione di incrinare questo luogo idilliaco.
Sul fronte tecnico il gioco si presenta in forma seppur con qualche incertezza, in particolare quando entra in gioco il fattore stabilità. Marvel’s Spider-Man 2 è infatti afflitto da diversi bug, che a essere sincero non ricordo nei precedenti capitoli e che, al netto di alcuni veramente bizzarri (fluttuare da un grattacielo all’altro impersonando un piccolo cubo bianco è stato esilarante), hanno in parte sporcato un’esperienza altrimenti ben realizzata. L’augurio è che Insomniac sistemi quantomeno i più tediosi, come quei mob che finiscono per compenetrarsi con alcuni oggetti presenti a schermo, diventando inevitabilmente inattaccabili.
Marvel’s Spider-Man 2: e adesso che faccio?
Arriviamo ora a quello che per il sottoscritto è il vero tasto dolente. Nelle trenta ore che si impiegano mediamente per esaurire il gioco, l’impressione è stata quella di trovarsi in un mondo sì madido di attività secondarie da completare, ma soltanto all’apparenza. Troviamo infatti una miriade di cose da fare una volta conclusa la storia: quest specifiche per ognuno dei protagonisti, oggetti collezionabili, sfide e piccole sequenze puzzle. Apparentemente c’è tanto… appunto, “apparentemente”. Badate bene: questo non è un ragionamento sulla difficoltà generale dell’opera. D’altronde il gioco ne propone diverse per ogni palato. La pietra dello scandalo risiede semmai nel game design. Tutto ciò che è collaterale alla storia dura in realtà il tempo di uno sbadiglio. Come abbiamo detto, ci sono diverse attività collaterali, ma sono numericamente poche e, per l’appunto, facilmente esauribili. Non c’è davvero grande rigiocabilità, salvo ovviamente fare una nuova partita. Anche il primo capitolo, oltre al suo spin-off, soffriva di questo problema, che risiede a mio avviso proprio nella scelta da parte dello studio di imbastire un gioco finito, evitando così di sovraccaricare il gioco e i suoi sviluppatori, sempre più incastrati in tempi di lavoro insostenibili. E allora, dov’è il problema? Il problema innanzitutto esiste per chi, come me, pondera la spesa che i titoli Sony richiedono al consumatore per poche ore di gioco; perché se è pur vero che bisogna tutelare gli addetti ai lavori, bisognerebbe anche tutelare il portafoglio di chi quei giochi deve (o vorrebbe) acquistarli; e francamente la retorica per cui nessuno ci obbliga, almeno per me, non regge. La risposta potrebbe risiedere in soluzioni a mio avviso intelligenti come il nemesis system di Warner Bros Games (questo è un brevetto, ma è utile per dare un’idea), capace di prolungare la vita di un action simile non di poco.
Nessuno chiede a Insomniac la durata biblica di un titolo Rockstar, ma qualche ora in più in compagnia dei nostri amichevoli Spider-Man non sarebbe dispiaciuto.
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