Fra verità e sfumature da romanzo, ascesa e caduta di una delle favorite più note della storia: Marie-Jeanne, nata Bécu, poi Vaubernier probabilmente perché usò il cognome del padre naturale, il monaco francescano Jean-Jacques-Baptiste Gomard de Vaubernier. Figlia illegittima, di origini umilissime, scelse di mantenersi usando la bellezza e diventando una delle cortigiane più note di Parigi. Fino ad essere notata da Luigi XV quando fu portata a Versailles (pare) dal duca di Richelieu, padrino del re.
Per diventare maîtresse-en-titre, ossia amante ufficiale del monarca, serviva un matrimonio propedeutico alla presentazione a corte: così Jeanne Vaubernier acquisì il titolo di contessa Du Barry, secondo il film diventando la moglie del suo protettore, il conte Jean-Baptiste du Barry, in realtà sposandone il fratello Guillaume.
Maïwenn porta sullo schermo uno spaccato della vita della donna che fece perdere la testa a Luigi XV dando scandalo a Versailles per le sue origini (i libellisti, alludendo al passato di Jeanne, scrissero che “di due Veneri si parla nel mondo: una nacque dalla schiuma del mare, l’altra dalla schiuma del vaso da notte”).
Ma la contessa du Barry fu donna più mite e meno intrigante di quanto la cultura pop ci ha abituati a credere. E Maïwenn prova, almeno in parte, a concentrarsi sul lato più autentico: Jeanne du Barry – La favorita del re corregge l’immagine di velenosa arrampicatrice sociale per restituire alla protagonista la verità di figlia del suo tempo. Donna capace di spontaneità e gentilezza che evitò per il possibile di immischiarsi negli intrichi della politica (Luigi XV le fu sempre grato per questa forma di discrezione).
Scelto per aprire il Festival di Cannes 2023, Jeanne du Barry mesce fasto e tono intimo tratteggiando con vibrante femminismo l’immagine di una donna che, forse senza volerlo, al centro della scena politica finì per trovarcisi. La silenziosa opposizione di Maria Antonietta alla du Barry, ad esempio, divenne quasi un incidente internazionale: la delfina d’Austria, arrivata a Versailles per sposare il futuro Luigi XVI, non le rivolgeva la parola, criticando così indirettamente la vita personale del sovrano. Dovette intervenire anche Maria Teresa da Vienna per correggere sua figlia.
Eppure, su più punti Maïwenn tradisce la verità storica. Iniziando da se stessa: interpreta la protagonista anche se, a quarantasette anni splendidamente portati (quarantasei durante le riprese), col suo fascino bruno è senz’altro diversa dalla venticinquenne bionda che incantò Luigi XV.
La du Barry, poi, non impose la moda dell’indossare abiti maschili per andare a cavallo. Né pare abbia mai legato particolarmente con il delfino Luigi, qui interpretato dal figlio di Maïwenn (Diego Le Fur).
Gli stessi costumi di Jürgen Doering, purtroppo, in alcuni momenti sembrano strizzare l’occhio all’abitudine di reinterpretare la moda d’epoca, permettendosi libertà creative e anacronismi che (almeno in alcune serie recenti) hanno ora ridicolizzato ora banalizzato l’ambientazione storica.
Più accurata di quanto sembri la scelta di affidare a Johnny Depp in ruolo di Luigi XV, nonostante alcuni abbiano storto il naso di fronte al francese imperfetto della star. Depp ha oggi più o meno l’età che aveva il re quando si innamorò di Jeanne e, come il re, ha un passato da bellissimo (Luigi XV ebbe il soprannome di Bien-Aimé, “Beneamato”, anche per l’avvenenza giovanile). Un divo di Hollywood per interpretare il monarca, che nella Francia del Settecento era quanto di più simile a una superstar, si rivela una scommessa vinta: Depp porta al ruolo il giusto mélange di egoismo, malinconia e alterigia. E l’alchimia cinematografica con Maïwenn va in crescendo.
Inaspettatamente, Jeanne du Barry vince con la sua struttura classica, dai titoli di testa alla colonna sonora (scritta da Stephen Warbeck, Oscar per Shakespeare in Love) fino alla voce fuori campo che, placida e inesorabile, scandisce le fasi della vita della protagonista, e si assume il compito di raccontarne il finale. Com’era prevedibile, infatti, Maïwenn è interessata agli anni d’oro a Versailles. Quando Luigi XV muore di vaiolo, la regista arriva a seguire Jeanne solo fino all’esilio nel convento di Pont-aux-Dames. Il resto, dalla vita matura al castello di Louveciennes agli anni della Rivoluzione, è sintetizzato in poche frasi. Da un lato è un peccato. Dall’altro, la sintesi aggiunge al finale una nota di malinconia crepuscolare.
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