La carriera di Nicolas Cage è una scheggia impazzita che vaga per Hollywood e la sua periferia più degradata, un tour senza mezze misure che ha disegnato una traiettoria imponderabili le cui tappe alternano ruoli al servizio dei più grandi registi dell’ultimo secolo a pellicole grottesche destinate a prendere polvere in sconsolati videonoleggi di periferia. Io non so cosa abbia passato Cage, cosa l’abbia spinto, portato o costretto a fare cassa accettando qualunque copione si posasse sulla scrivania, ma mi sento di dire con circostanziata sicurezza che ora, finalmente, sta bene, al punto di ridere di sé stesso. Nicolas Cage nel tempo ha trasceso la sua figura di attore per diventare meme e a questo punto della sua vita può permettersi anche di interpretarlo, un meme, in una pellicola come Renfield pensata per poggiare sfacciatamente su questa sua nuova dimensione.
Renfield, o per essere più precisi Robert Montague Renfield, è il famiglio di Dracula, ovvero colui che si occupa del benessere del principe delle tenebre, il che include ovviamente anche l’ingrato compito di procurargli vittime. Il tiepido dilemma morale di Renfield (un tempo avvocato, quindi…) viene sedato dalla ricerca di pessimi elementi da dare in pasto al suo padre, il quale in cambio ciclicamente si complica la vita con i cacciatori di vampiri, costringendo la coppia a cercare una nuova base operativaspostandosi di città in città. L’ultimo scontro tuttavia riduce Dracula in poltiglia e questa volta il sangue di criminali di bassa lega non basta a rimetterlo in senso: adesso servono vittime innocenti e Renfield appare per la prima volta riluttante ad accontentare il suo padrone.
Quella di Renfield è un’operazione furba, ma che un po’ a sorpresa funziona. Lo script di Robert Kirkman, quello di The Walking Dead e Invincible, adattato in sceneggiatura da Ryan Ridley gioca sornione con gli elementi della mitologia di Dracula, noti (la gag dello zerbino è geniale) e meno noti (chi conosceva già il personaggio di Renfield alzi la mano). Chris McKay ci mette una regia frizzante e spiritosa, che ogni tanto si perde un po’ arrotolandosi su sé stessa, ma tiene il ritmo di un film compatto che sceglie saggiamente una durata d’altri tempi: 90 minuti che avrebbero potuto facilmente essere 80. Il resto lo fanno gli interpreti: Nicolas Cage interpreta la versione di sé stesso che internet ha reso mitologica, Nicholas Hoult si presta bene al ruolo di un Renfield belloccio e un po’ ingenuo (con delle sfumature di Pattinson che fanno atmosfera), mentre Awkwafina è semplicemente perfetta nei panni della poliziotta integerrima e impacciata.
La pellicola di McKay commette di rado l’ingenuità di provare a prendersi sul serio o di lanciare una morale troppo esplicita, ma in quel momenti il film rallenta e perde il suo slancio. Quando invece si ricorda che tutto in fondo si basa su sull’idea di mandare in scena un Nicolas Cage cosparso di cerone, o con la faccia mezza scarnificata, in un costante overacting fatto di faccette ed espressioni buffe, quando insomma McKay si decide ad abbandonare ogni remora e fare quello che vuole e sa fare, ovvero divertire senza troppi fronzoli, Renfield trova il suo senso compiuto.
Perché, d’altronde, sprecare tempo con altro quando hai un Cage che gigioneggia divertito e in forma smagliante, gang criminali di italoamericani tamarrissimi, un Hoult nei panni di Renfield che strappa arti ad ogni colpo, litri di sangue in ogni dove da far sembrare Dal tramonto all’alba un pic-nic di scout ed effetti speciali più che dignitosi (e sì, Ant-Man, ce l’ho con te e il Quantumverso, sappilo). Forse Renfield funziona anche perché è un film senza pretese in un momento storico in cui tutto deve essere grande, grosso, durare almeno tre ore e rappresentare un micro-tassello di un franchise crossmediale. Ma in fondo regge senza grossi problemi fino alla fine e se per un’ora e mezza mi diverti, qualche raro momento di stanca alla fine posso pure trascurarlo.
Infine fa piacere vedere Cage a proprio agio in questa sua dimensione memica di feticcio internettiano: d’altra parte lui stesso è consapevole di aver già lasciato ai posteri l’interpretazione della vita in un film bellissimo. Se siete arrivati a questo punto dunque e non avete mai visto Pig (cosa probabile visto che in Italia ne hanno parlato in pochissimi, tra cui gli ottimi Incompetenti Podcast), beh, cosa aspettate a recuperarlo?
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