Nonostante sia da sempre un grande cultore della corrente Kaiju Eiga e nonostante ami particolarmente il solo e unico Re partorito dal quel genio di Honda, ai tempi, quando un paio di anni fa Saldapress pubblicò Godzilla – la guerra dei 50 anni per la prima volta, in un cartonato oversized con un’elegante veste a colori, ammetto di essermelo perso. Le ragioni furono diverse, con quella promessa, sempre dietro l’angolo, di recuperarlo alla prima occasione. In un certo senso l’ho fatto, ho recuperato Godzilla – la guerra dei 50 anni di James Stokoe, anche se in una veste diversa ma non troppo insolita: in bianco e nero.
Vuoi per il forte richiamo estetico al manga, vuoi per l’amore incondizionato per i mostri di grossa taglia, vuoi anche per la sorprendente dinamica degli eventi, ho adorato questo colossale tributo all’iconografia di Godzilla dalla prima all’ultima pagina. Cerco sempre di conservare una certa professionalità quando scrivo, evitando iperboli da fanboy come ho appena fatto; ma è in assoluto l’unica sintesi plausibile. Certo, la struttura del racconto è caotica e spesso no sense, con i kaiju il più delle volte estrapolati dai loro contesti originali. Ma chi come il sottoscritto ha amato (seppur con le giuste riserve) il folle Gojira – Final Wars (Ryūhei Kitamura – 2004) non può che non stendere metaforici tappeti rossi a Stokoe, che ne riprende, forse persino senza volerlo, l’animo cinetico e stilistico.
L’origine, la prima apparizione
La storia, molto banalmente, ruota attorno a Ota e Kentaro, due commilitoni che a bordo del loro carro Sherman fronteggiarono il kaiju durante la sua prima storica apparizione in quel di Tokyo nel ’54. Da quel giorno le loro vite cambiarono radicalmente, in particolare quella di Ota, che farà della lotta al mostro (e ben presto altri kaiju) la sua unica ragione di vita. L’intera Odissea si dipanerà all’interno di un arco temporale lungo, per l’appunto, cinquant’anni, approfondendo il rapporto che il giapponese tesserà ironicamente proprio con il Re dei kaiju.
Godzilla è da sempre una figura estremamente dicotomica. Sorvolando sul suo significato, che altro non è che il manifesto (volendo ecologista) del suo creatore, Godzy non è mai soltanto distruttore, non è mai soltanto una cieca furia priva di raziocinio il cui unico scopo è quello di imporre la propria furia primordiale sul resto del mondo. La sua genesi è senz’altro cataclismatica, ma è proprio in tal senso che la metafora di Godzilla trova spiegazione: i test atomici (tematica ai tempi di grande valore, forse ex equo con i più contemporanei temi ecologisti) hanno ridestato l’essere, che alla stregua di una mitologica furia nipponica devasta Tokyo. Tuttavia, nei decenni a seguire la sua figura ha subito una forte evoluzione semantica, passando, o meglio dire, aggiungendo di fianco alla voce “cataclisma vivente” anche quella di protettore; non dell’uomo si intende, ma del suo antico habitat: il Giappone. Nel Sol Levante abitano oltre cento milioni di abitanti, fatto che non sembra infastidire Godzilla più della frequente apparizione del kaiju antagonista di turno. In tal senso l’opera di Stokoe palesa e omaggia questa sua natura. Non a caso il risveglio degli altri kaiju (le cui cause sono tutt’altro che naturali) porteranno a frequenti scontri, l’ultimo dei quali è un vero e proprio team-up. In sostanza: è davvero un male che Godzilla esista?
Stokoe scrive una storia dai tratti oggettivamente semplici, che come nel Final Wars di Kitamura predilige una royal rumble xxl priva di profonde elucubrazioni. Gli scontri fra kaiju sono senz’altro i veri protagonisti dell’opera, in cui contributo maggiore del protagonista è prevalentemente quello di narratore; la voce di una storia che matura e si evolve nel corso di mezzo secolo. L’intera azione è veicolata da uno stile grafico notevole e contaminato dal retaggio estetico del manga, qui perfettamente ibridato con una mano distintamente occidentale. I rapporti fra i kaiju e l’ambiente possono sembrare talvolta fuori scala, ma possiedono tuttavia il pregio di rappresentare, con estremo appagamento per il lettore, l’ondata distruttiva che i kaiju portano con essi: Il cemento che si sgretola all’ombra delle loro sagome, le prorompenti onomatopee che altro non fanno che avvertire il lettore che qualcosa di gigantesco sta arrivando, nonché i vani tentativi dell’uomo di fermarli. Quest’ultimo aspetto è figlio di una retorica tipica dei Kaiju Eiga, dove l’umanità, seppur riunita e ingegnata per porre fine ai kaiju, alla fine non farà altro che aggravarne la portata distruttiva. In molte vignette assistiamo a un futile muscolarismo, tipicamente americano, convinto di annientare la qualunque a suon di bombe. Non funzionò con il Vietnam del Nord e non ha funzionato con Godzilla. Ancora una volta.
Eppure Stokoe riesce ugualmente, in un certo senso, a far uscire vittorioso l’uomo. Proprio Ota è restio alla resa, al compromesso. Nonostante l’età che avanza, nonostante le infinite privazioni come conseguenza della sua crociata (oramai fin troppo personale) e nonostante le troppe ferite, lui è sempre lì, in prima linea, fra un kaiju e un altro, e sarà lì anche quando tutto finirà; perché al di là di tutto, grazie a persone come Ota, l’umanità ha guadagnato il diritto di dire la sua in questo primordiale gioco della natura.
In conclusione, la nuova incarnazione bicromica in bianco e nero di Godzilla – la guerra dei 50 anni intrattiene a livelli decisamente alti, appagando visivamente il lettore e divertendolo in maniera semplice ma mai in modo banale.
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