Strange e Wanda in un caleidoscopio di versioni alternative, da Dr. Strange e il multiverso della follia

Uno dei segreti del successo della fabbrica delle meraviglie dei Marvel Studio è la capacità di infondere in tutte le sue produzioni uno stile piuttosto omogeneo, in grado di far sentire subito a casa ogni spettatore, compreso quello occasionale. Per questo di rado i film Marvel sono diretti da grandi nomi, ma più spesso da registi a cui giova la popolarità garantita dall’associazione col brand, anche se raggiunta appiattendo un po’ il proprio sguardo per aderire a quello standard a cui si rifà il MCU. Poi ci sono le eccezioni, seppure rare: gli Eterni di Chloe Zhao (anche se…), ma soprattutto il Thor di Waititi. Bene, Dr. Strange nel multiverso della follia dimostra invece cosa può succedere quando si concede abbastanza mano libera a uno come Sam Raimi

Avevamo lasciato Stephen Strange alle prese con i guai multiversali causati dall’impulsivo Petr Parker, e a qualche mese di distanza lo ritroviamo ancora invischiato nelle stesse vicende. Questa volta l’artefice, per quanto involontaria, della collisione dimensionale è America Chavez (l’ottima Xochitl Gomez) , adolescente col potere di aprire portali tra i multiversi, inseguita da un gigantesco mostro monocolo e tentacolato proprio durante il matrimonio di Christine (Rachel McAdams), il grande amore di Strange per chi non avesse fatto i compiti a casa.

Strange impegnato nelle arti magiche in dr strange nel multiverso della follia 

Per assestarsi su quella che ormai è la durata minima sindacale di un blockbuster (una manciata di minuti oltre le due ore), Dr. Strange nel multiverso della follia parte praticamente in medias res, si concede una lieve decelerata con la scena del matrimonio cui accennavamo prima, e poi pesta il piede sull’acceleratore portando lo spettatore sulle più strambe montagne russe del MCU. La pellicola cerca di essere fondamentalmente tre cose: un nuovo capitolo dell’epopea serial-cinematografica Marvel, un film in grado soddisfare lo spettatore saltuario e un condensato delle idee più folli che Raimi è riuscito a farsi approvare dai vertici Marvel. E se le prime due parti vanno fatte per dovere contrattuale, è la terza e ultima quella in cui Sam mette davvero il cuore, senza farsi troppe remore a far saltare sulla sedia chi guarda, se ne ha voglia. 

Nel grande mosaico del Marvel Cinematic Universe, Dr. Strange nel multiverso della follia si rivela un capitolo più transitorio di quanto lasciato intendere dalla Marvel (ne parliamo meglio nelle considerazioni spoiler, se vi va), seppur comunque un passo in avanti rispetto allo scialbo The Eternals. Benché il titolo sulla locandina sia tutto per l’ex stregone supremo, Strange si trova per larga parte del film a condividere il ruolo di protagonista con Wanda Maximoff (Elizabeth Olsen), la cui importanza nel quadro complessivo del MCU è decisamente cresciuta dopo la serie tv a lei dedicata.

Dr. Strange a New York in Dr. Strange nel multiverso della follia

La bravura di Cumberbatch e Olsen si misura anche nella loro abilità reggere i repentini e frequenti cambi di tono della pellicola, che soprattutto nelle prime due parti lascia intravedere solo il tono dark verso cui intende virare Raimi, mitigato tuttavia dall’ormai celebre e classico Marvel style che impone inesorabile l’arrivo della gag per ammorbidire i toni. 

Nel crescendo del film, tuttavia, Raimi prende sempre più il controllo degli eventi (al punto che col senno di poi le prime scene sembrano quasi dirette da qualcun altro) dando sfogo a slanci di fantasia che di rado si sono visti nelle produzioni passate dei Marvel Studios, superando anche il giustamente apprezzato Thor: Ragnarok. Sempre in bilico tra il trash e il cult, Raimi cita e celebra il filone del horror da cassetta instillando nel suo film soluzioni visive a volte sbalorditive (la battaglia delle note è una delle scene di lotta più belle del MCU), a volte goffe, oscillando perennemente tra la magnificenza di Inception e le transizioni da B movie, ma sempre e comunque ricorrendo a trovate originali: un aggettivo che non capita spesso di usare in una recensione di un film Marvel. Così come non capita spesso di trovarsi di fronte a scene così crude, che Raimi è bravissimo a far passare sotto il radar del rating per adolescenti mostrando lo stretto necessario e lasciando all’immaginazione dello spettatore i dettagli più crudi. 

Wong, America Chavexz e Strange in dr strange nel multiverso della follia

Con ogni probabilità, Dr. Strange nel multiverso della follia finirà per deludere chi entra in sala aspettandosi una nuova pietra angolare del MCU, o una sorta di Avengers sotto mentite spoglie, intesa come pellicola capace di radunare al suo interno eroi vecchi e nuovi. Il multiverso è il grosso tema di questa nuova face dell’Universo Cinematografico Marvel, e i botti grossi devono ancora arrivare. 

In un certo qual modo il film rischia di essere vittima del suo stesso hype e di non soddisfare fino in fondo gli appassionati più intransigenti. D’altro canto, tuttavia, bisogna ammettere che il titolo non delude: il mutiverso di Raimi è davvero una follia, di quelle in cui è un piacere tuffarsi e da cui si esce con un bel sorrisone stampato in volto. Sarebbe bello se la Marvel si lanciasse più spesso in follie simili, affidando le proprie pellicole a registi capaci di lasciare un proprio segno distintivo: ma se non succede qui, in fondo, starò succedendo di sicuro in qualche altro universo. 

 



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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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