Se è vero che per tutto prima o poi c’è una fine, bisogna ormai rassegnarsi a ritenere questa verità popolare non più applicabile alle generazione di console. Il confine, divenuto sempre più labile nel passaggio ereditario tra console pare ormai definitivamente crollato, sotto i colpi di una pandemia che ha frenato le produzioni e di un incremento dei costi di sviluppo ormai sostenibili solo a fronte di prospettive di vendita calcolabili in milioni di pezzi. Può capitare così che Ghosts of Tsushima finisca per essere, contemporaneamente, il canto del cigno di PS4 e, a qualche mese di distanza, uno dei titoli che meglio mettono in mostra il potenziale di PS5

Ripubblicato (anche su PS4, sempre per ingrossare il paradosso) in edizione Director’s Cut, Ghosts of Tsushima sbarca su PS5 portando con se quella dose di novità indispensabile a giustificare una riedizione. L’upgrade grafico, che conduce il comparto tecnico verso quei paletti ormai quasi simbolici dei 4k di risoluzione e dei 60 fps, rendono il titolo di Sucker Punch la migliore esperienza visuale al momento disponibile sulla nuova console Sony, eppure non è questo il motivo principale per cui Ghosts of Tsushima Director’s Cut merita attenzione, né (ed ecco un altro paradosso) il maggior sfoggio di potenza bruta di PS5. Per individuarli entrambi, infatti, bisogna andare a curiosare tra i sottotitoli. 

Curiosare, a dire il vero, non è esattamente la parola più adatta visto che il gioco propone come primissima scelta la selezione della lingua in abbinata al sottotitolo: ed è qui che finalmente compare l’accoppiata composta da audio giapponese e sottotitolo localizzato, tanto bramata nella precedente edizione, ma impossibile da realizzare su PS4 per la limitata potenza della console. Ora che PS5 può invece masticare senza timore la mole di calcoli necessaria a renderizzare il movimento delle labbra nei filmati , è finalmente possibile godersi Ghosts of Tsushima ancora più immersi nell’atmosfera da film di samurai che Sucker Punch ha voluto evocare, citando per altro esplicitamente Kurasawa con la modalità in bianco&nero a lui dedicata. 

Ghosts of Tsushima

L’altra grossa aggiunta ha un’estensione di 138 km², paria all’area di Iki island, isola al largo di Tsushima che dà il nome all’omonima espansione, inclusa in questa Director’s Cut e visitabile già alla conclusione dell’Atto 1, quindi alla portata immediata di tutti i giocatori PS4 che importeranno i propri dati dal cloud. Il nuovo territorio, ovviamente più ristretto all’interno del gioco, si affianca anche un nuovo filone narrativo che introduce una nota esoterica attraverso la sciamana mongola che mira a controllare i pensieri del protagonista Jin. Si tratta di una svolta piuttosto bizzarra, che si discosta dalla rigorosità storica ricercata (per quanto non raggiunta) dal racconto principale e che soprattutto viene gestita attraverso un’elaborazione psicologica del protagonista che stranisce. Jin, un samurai che sta vivendo la sanguinolenta conquista della propria terra, si trova di fronte una dominatrice delle arti mistiche che si insinua tra i suoi pensieri, procurandogli visioni, eppure ciò non pare sorprenderlo, né spaventarlo. 

 

Le introduzioni della Director’s Cut vanno a innestarsi sul medesimo impianto di gioco della versione PS4, recepito positivamente all’epoca, per quanto non esente da difetti, per lo più legati a una concezione un po’ datata dell’open world e della sua struttura a missioni , che trovano tuttavia compensazione in una dose abbondante di atmosfera e ricostruzione storica. L’attenzione al dettaglio storico prestata da Sucker Punch è notevole, prova ne sono le meravigliose armature ricostruite in ogni singolo ornamento, per quanto non accademica: d’altra parte, se tolleriamo che i francesi si raccontino di un villaggio gallico che si faceva beffe dei romani, possiamo sopportare anche l’epopea di Jin che da solo respinge l’invasione mongola dall’isola di Tsushima, evento ovviamente mai verificatosi. 

Eppure, come spesso accade, sono proprio le contraddizioni a renderlo interessante, a partire dal suo essere un gioco nato per mostrare il punto di arrivo reso possibile dalla tecnologia di PS4, ma finito per essere uno dei giochi visivamente più impressionante su PS5, a quasi un anno dall’esordio nella nuova console e della next gen. È tuttavia nel modo in cui gestisce il dualismo tra l’action sfacciato e l’approccio stealth che Ghosts of Tsushima mostra il meglio del suo contradditorio essere, mettendo in scena e nelle mani del giocatore il dilemma di Jin, dilaniato tra la necessità di mantenere l’onorabilità del samurai affrontando a viso aperto i mongoli, o condannarsi a sopravvivere nel disonore per essere sopravvissuto uccidendo il nemico di soppiatto. 

Jin, proprio come Ghosts of Tsushima, è dunque costretto a diventare qualcosa d’altro, a muoversi in mezzo a due identità così come il gioco di cui è protagonista si muove in quello spazio indefinito, ma ormai estremamente reale, in cui due diverse generazioni si incontrano e si confondono. Uno spazio che è destinato ad estendersi e a dominare la scena ancora fino al 2022, almeno: ma se i risultati della crisi generazionale sono questi, ce ne si può fare serenamente una ragionare e godersi quello che ha da dire, nell’attesa che tempi migliori consentano alla next gen di compiere il suo percorso programmato (posto che ce ne sia mai stato davvero uno, ovviamente). 



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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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