Quanto è dura fare la rivoluzione! Si parte sempre con le migliori intenzioni, tutti motivati e convinti, persino pronti a rischiare del proprio, finchè arriva il momento di decidere cosa fare DOPO aver fatto la rivoluzione. E a quel punto i cuori si raffreddano, le volontà latitano, il coraggio si sgonfia e i primi screzi affiorano. In quel momento, la rivoluzione è già finita.
È da un paio di giorni, da quando cioè ho finito di leggere tutto d’un fiato il secondo volume de L’età dell’oro, che mi interrogo se quella di Roxanne Moreil e Cyril Pedrosa sia da intendersi come una rivoluzione fallita, oppure una perfetta e disillusa metafora di tutte le rivoluzioni.
Un altro mondo è possibile, mi dicevo un paio di anni fa recensendo il primo volume de L’età dell’oro. In quelle prime pagine c’era tutta la speranza di quando un’idea rivoluzionaria nasce. Erano altri tempi: il paragone col medioevo era innestato solo dal clima politico che si viveva all’epoca, in Italia e nel mondo. Non che le cose siano cambiate, oggi, ma ora i secoli bui vengono in mente più per le pandemie, che per altro. Sono cambiate le priorità, insomma.
Allora, però, i libri si presentavano in libreria, con gli autori presenti, le strette di mano e le firme sulle copie. Ok, la finisco con questo tono da boomer, ma il punto è che ricordo quanto il metatesto politico de L’età dell’oro fosse presente nella conversazione milanese con Pedrosa: “Oggi, così come nell’epoca in cui è ambientato L’età dell’oro, libertà ed emancipazione sono idee sovversive, considerate pericolose. Nel secondo volume ci concentreremo maggiormente su questi concetti, dimostrando che il concetto di libertà può essere diverso da quello che ciascuno intende“.
Forse è successo qualcosa, o forse sono solo cambiati i tempi, chi lo sa, ma la conclusione de L’età dell’oro mi è sembrata lontana da questo proposito iniziale. Il che non significa che sia peggiore (anche in rapporto al precedente volume), ma solo diversa.
Buona parte del volume è occupata dal lungo assedio con cui Tilda cerca di stremare il fratello usurpatore del trono, sempre consigliato dall’inquietante Vaudémond, a cui le ambizioni personali interessano però ben più del futuro del regno. Nel gioco del trono tra fratelli, però, sono i disperati a giocare la parte dell’agnello sacrificale, spronati a lanciarsi con la spada sguainata verso la pioggia di frecce nemiche, nel tentativo di conquistare un varco al prezzo del loro sangue.
La principessa illuminata del primo volume è diventata una donna d’armi e a farne le spesa, nella transizione, sono sempre i poveracci. Lo capisce Bertil, il suo braccio destro, popolano d’origine, che prova in autonomia a tessere una rete di alleanze per garantire a chi lotta dalla parte del giusto una vittoria senza la necessità di un enorme tributo di sangue. Ma accettare aiuto significherebbe condividere il potere, e questo nemmeno una futura regnante illuminata come Tilda può concepirlo e concederlo, motivo per cui Bertil pagherà con le catene la sua hubris.
Solo l’ombra della sconfitta può riportare sulla retta via Tilda, in una conversione finale a dire il vero un po’ affrettata e raccontata attraverso la metafora fin troppo esplicita dell’illuminazione salvifica proveniente mitologico libro de I, celato sotto gli occhi del lettore fin dall’inizio. Benché nel finale la Rivoluzione si compia, non senza sacrifici, è difficile considerare lieta la conclusione de L’età dell’oro, complici anche le ultime tavole che chiudono l’opera sotto una luce enigmatica e un po’ cupa, nonostante siano accompagnate dalle parole del libro che prometteva portare l’uguaglianza nel mondo. O forse proprio per quello.
Sotto traccia, mentre la storia si avvia al suo lieto fine, rimane una sensazione di disincanto, quasi risuonassero imperterrite le parole che si scambiano Paudevigne e Paul in apertura di volume:
-Ma tanto possono assediarci finchè vogliono, e prendersi la città se gli fa piacere… io me ne frego. Per noi non cambia niente. Chiunque sia il padrone, noi saremo sempre servi.
-Allora perchè facciamo la guardia?
-Perché abbiamo due gambe e due braccia, testa di somaro! E perchè stamattina il capitano ha deciso che questo bastava a fare di noi dei soldati.
Tramontato il sogno di cambiare il mondo, non resta dunque che consolarsi, o perchè no perdersi, nelle illustrazioni di Pedrosa a cui manca solo il sonoro per trasformarsi in animazione. Nell sue enormi, dettagliate e coloratissime splash page i personaggi si muovo da un capo all’altro della pagine, portando con sé, o forse sarebbe meglio dire attraverso sé, la narrazione da un estremo all’altro del foglio. Mentre l’ideale lentamente sbiadisce, il comparto grafico de L’età dell’oro esplode di colori dirompenti, giocando sulle tonalità negative per creare un luogo surreale, fuori dall’esistenza, eppure comunque agganciato per contrasto al nostro passato e al nostro presente.
Forse chi si aspettava una svolta politica decisa, di cui per altro erano evidenti i semi nel primo volume, rimarrà almeno parzialmente deluso: d’altra parte, chi da sempre culla il sogno della rivoluzione, in cuor suo sa che è destinato ad affrontare presto o tardi la disillusione. In questo caso, quanto meno, ci si può lasciar consolare dalla bellezza che viene dall’arte. Un lusso che non sempre viene concesso ai rivoluzionari.
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