Nel nostro rosso relativo senza macchia d’errore avremmo potuto attendere il ritorno di tempi (gialli) migliori leggendo un po’, invece il richiamo della lamentatio twitteriana e i postumi delle feste hanno avuto la meglio. Il tempo però non è una variabile (nemmeno una variante, per fortuna), quindi rinunciando a qualcosa c’è sempre modo di rimediare.
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Un cazzo ebreo
Sì, il libro di Katharina Volckmer ve lo segnalo anche un po’ per lo shock value che il titolo regala, ma non credo che né la casa editrice italiana (La nave di Teseo) né l’autrice stessa me ne vorranno, dato che è un po’ il punto della questione. Avete voglia di un libro scioccante, irriverente, che non si fa problemi a elaborare fantasie sessuali popolate persino da Hitler? Ecco, ora so di avere la vostra attenzione. Così a naso siamo un po’ nell’intersezione tra gli insiemi di lettori hipster (non ne parliamo più ma esistono ancora, in attesa di una nuova definizione), sfoggiatori radical chic e divoratori di tomi talvolta stuzzicati dal piacere che dà essere scandalizzati sì, ma in maniera intelligente, culturale, autoriale. Mi avvisano dalla regia che la direzione è un po’ quella e che libro e confezione se la credono un po’ troppo considerando il risultato, ma prima di passare ai soliti mattonazzi indigeribili che vi propino, volevo aprire col botto, col libro scandaloso, ironico, di piacevole lettura, con cui far bella figura con gli amici impegnati, fingendosi non troppo impegnati ma sul pezzo, senza sforzo. Come vi vizio. La traduzione è di Chiara Spaziani.
Black Box
Ora invece vi voglio seri, per una segnalazione un po’ fuori tempo massimo ma la rubrica è mia e faccio quel che mi pare, ma soprattutto: la storia di Shiri Ito merita quanto più spazio possibile, per picconare quell’odiosa idea di Sol Levante come terra ideale, in cui tutti sono gentili e altruisti verso il prossimo. Volto simbolo del movimento #MeToo nipponico, la giovane giornalista si è trovata a dover fronteggiare il più classico e intramontabile caso di violenza sul luogo di lavoro. Un collega più anziano, più titolato, più influente sia presso il potere politico sia presso l’opinione pubblica le mette le mani addosso, le fa del male. Lei si ribella: non solo a lui, ma anche a quel muro di omertà che la società giapponese le para contro per non turbare la confuciana pace del gruppo. Una storia che abbiamo sentito troppe volte (ma da cui sembriamo aver imparato pochissimo) con tutta una serie di odiose, dolorose specificità locali che intrappolano la protagonista in una “scatola nera”, incapace di uscire dal giudizio degli altri, di affrancarsi dalla protezione che viene concessa al suo aguzzino che si trasforma in una nuova violenza nei suoi confronti. Pubblica la neonata casa editrice Inari Books, traduce Asuka Ozumi.
Il guardiano
Claudia Cozzi traduce per Iperborea il primo libro edito nel 2021 che promette sottile tensione e brividi da thriller e che sembra in grado di non ricadere nell’inevitabile thrillerone thrilleraccio. Il guardiano porta con sé un tratto che adoro e detesto allo stesso tempo: un’Organizzazione così malvagia e così pressapochista da farsi chiamare Organizzazione. Un po’ Ballard e un po’ Jackson (sfortunatamente la mia conoscenza della letteratura in lingua olandese è talmente inesistente che mi devo affidare a comparazioni anglosassoni), Peter Terrin racconta la duplice solitudine di Harry e Michel, due guardiani che lavorano nel livello sotterraneo di un imponente complesso abitativo con compiti di sorveglianza. Il loro tran tran notturno viene sconvolto (ma non interrotto) quando assistono alla fuga di massa di tutti i residenti, tutti tranne uno. Non c’è modo di andarsene prima che l’Organizzazione li contatti, non c’è mezzo di sapere che sia successo fuori dai cancelli, cosa abbia spinto tutti a scappare. Così il guardiano veterano e il collega maniaco dell’ordine non possono che rintanarsi nei loro tic e paranoie nella speranza di riconoscere la minaccia vera, se e quando arriverà.
Una storia americana
Posso essere così mainstream da segnalare (e non necessariamente consigliare) il nuovo titolo di Francesco Costa a chi soffre come l’autore del viscerale bisogno di partire e tornare sempre all’America, a come fanno le cose (meglio/peggio/più grandi/più interessanti), vituperando il provincialismo italiano…dal punto di vista di chi guarda continuamente agli Stati Uniti per contestualizzare qualsiasi discorso, anche il più locale e circostanziato?
Dato l’avvio di anno statunitense bello frizzantino, un’agevole lettura recap o istituzionale ci sta. Ora che Francesco Costa è diventato mainstream anche presso i media tradizionali, sento di andare sul sicuro. Altrimenti se la vostra vena progressista non è soddisfatta, dato che Fazio si è accaparrato l’autobiografia di Obama Barack e quella di Michelle è già in giro da parecchio, io vi faccio notare che La Nave di Teseo si è già portata avanti pubblicando le verità di Kamala Harris. E il povero Joe Dash? Lo pubblicò NR edizioni tre anni fa, con traduzione…di Francesco Costa. Sipario.
Alien Virus Love Disaster
Tralasciando gli alieni (per ora), vi viene in mente un titolo più attuale della prima uscita del 2021 di Zona 42 e sì, tirate pure un sospiro di delusione o sollievo, mica mi ero dimenticata della zona SFF. Virus ne abbiamo a bizzeffe, l’amore ce lo siamo portato in quarantena (o abbiamo fatto ben presente sui social di non averlo), il disastro beh, state seguendo l’attuale situazione politica di casa nostra tra un libro di Costa e l’altro?
Tradotta dall’inossidabile Chiara Reali, quest’antologia di racconti dell’esordiente (almeno in volume) Abbey Mei Otis è la cosa più deprimente in cui possiate imbattervi nelle prossime settimane, sì, anche considerando San Valentino. Residente a Washington DC (proprio non se ne esce) e passata per l’ormai inevitabile investitura di un corso di scrittura al Clarion (e chi non, negli ultimi 15 anni?), Otis è stata pubblicata su ogni rivista di riferimento del settore.
Al centro della sua scrittura c’è un’urgenza che condivide con altre scrittrici sue coetanee ma al di fuori del genere: quella di ritrarre le dinamiche di potere. Non solo tra uomo e donna, ma anche tra umani ed esseri Altri (non dico alieni sennò poi vi spaventate) perché passando dall’individuale all’universale il meccanismo rimane inalterato. Il più forte vince e il più debole si muove inesorabilmente, talvolta inconsapevolmente, verso l’annullamento e la sconfitta.
L’impressione di lettura è ponderata, lenta, ma pian piano si trasforma in una condanna inesorabile. Anche ad ogni residuato di gioia che si sia lasciato dietro il 2020, ma va le pena di farsi intristire.
Omaggio alla Catalogna
Vi sarà di certo certo sfuggito, ma nel 2021 sono scaduti i diritti sull’opera di George Orwell. Un evento passato assolutamente inosservato, tra decine (de–ci–ne!) di ristampe di due romanzi (due) che, seppur importanti, non riassumono certo la vita di uno scrittore che è stato saggista, giornalista, reporter, intellettuale, ma soprattutto un uomo con la volontà e l’attitudine alla realtà. Uno che prima di raccontare il proletariato, ha vissuto gomito a gomito con lo stesso, facendo i medesimi lavori, mangiando le stesse pietanze, condividendo gli stessi angusti spazi. Curioso vero, che questo lato di Orwell fatichi ad emergere nell’assordante sirena del “1984 È ANCORA ATTUALISSIMOOOOOO!”?
Se quindi tutto questo ristampare (e ritradurre, talvolta con licenze interpretative più che opinabili) vi ha fatto venir voglia di tornare su Orwell, fatevi (fatemi) un favore: cogliete l’occasione per provare altro e per premiare gli editori che non si sono buttati in blocco sul titolo da rifilare agli studenti di medie/superiori che a giugno arrivano al Libraccio con la lista dei libri da “leggere” per l’estate.
Buttatevi su qualcosa di un po’ (giusto un po’) meno banale come Omaggio alla Catalogna, premiate un editore come Guanda che non assolda la firma narrativa del momento (conio un neologismo: la tradustar, il traduttore di grido un po’ scrittore, un po’ influencer culturale, un po’ bookstagrammer, non è dato sapere quanto competente in materia di mh, traduzione letteraria?) ma un traduttore di esperienza più che consolidata come Massimo Bocchiola. Uno che non ha studiato da traduttore, ma ha scoperto una vocazione negli anni ’90, ha cominciato dai libri per bambini e pian piano è arrivato a Thomas Pynchon e Paul Auster. Dopo anni di esperienza, come racconta lui stesso. Il che, badate bene, non mette al riparo dalla possibilità di errori, ma almeno dalla certezza della scarsa esperienza sì. La prefazione è invece affidata da Marco Belpoliti, professore universitario, semiologo e firma di casa Guada. Non certo il primo che passa, ma assoldare uno degli anglicanisti fanboy orwelliani hardcore che popolano le trasmissioni di libri in queste settimane sarebbe stato forse preferibile. Sul libro non vi ho detto nulla, lo so, ma andate quasi sul sicuro. Non volevate leggere qualche classico quest’anno?
Questo non è un racconto
A proposito di classici, telegrafica: questo è il libro che vorrei mi fosse regalato a San Valentino approfittando degli sconti Adelphi, così rispondo alla Domanda Ricorrente nel circolo book influencing tra gennaio e febbraio: “ma che compro/cosa compri con gli sconti Adelphi?” Non bastano 12 mesi di consigli e il best of di fine anno? Pare proprio di no. Mia risposta: Sciascia che scrive per il cinema e sul cinema, appena ristampato. Se anche per voi “il cinema è tutto, TUTTO” e come me non l’avete in libreria…
Su Marte!
Siamo partiti con il titolo che attira e strizza l’occhio, ora è arrivato il momento di spostare o sguardo un po’ più verso la nicchia, anche se per qualcuno – tipo il sottoscritto – non c’è nulla di più irresistibile della raccolta completa degli scritti di un russo precursore della fantascienza (nonché sociologo, scienziato della natura, filosofo, psicologo, etc.) che ha vissuto l’apice della sua popolarità intorno alla rivoluzione russa del 1917. Alcatraz aveva già portato in libreria Stella Rossa, il romanzo più celebre di Bogdanov, in concomitanza con l’uscita di Proletkult dei Wu Ming, in cui Bogdanov è protagonista, in una meravigliosa Inception letteraria. Ora Su Marte! si propone invece di raccogliere l’opera narrativa completa del poliedrico scrittore, includendo anche Ingegner Menni, seguito di Stella Rossa, il poemetteo incompleto Un marziano abbandonato sulla Terra, conclusione della trilogia, e l’inedito La festa dell’immortalità. Fantascienza d’annata e completismo: per me non c’è di meglio.[Claudio Magistrelli]
L’arte di Cuphead
L’ambizione universale di questa rubrica è testimoniata dalla distanza tra il titolo di apertura e quello di chiusura. Se il primo fa colpo sugli amici impegnati, L’arte di Cuphead è invece un coffee table book fuori dall’ordinario, che farà colpo invece sul gruppo di amici più nerd e attenti al mondo dei videogiochi (o alla peggio sui loro figli). Cuphead, titolo di Studio MDHR di qualche anno fa, ha lasciato il segno grazie ad uno stile grafico ricercatissimo ed animazioni pazzesche, che si rifanno ai cartoni animati degli anni Trenta. Un’intuizione geniale, al pari di quella di Editoriale Cosmo, casa editrice che da anni si sta facendo notare per l’attenzione alle novità e recuperi di materiale meritevole d’annata o meno, che ha pensato di tradurre il bellissimo artbook prodotto dalla Dark Horse in USA. Sotto la copertina “anticata”, il volume sfoggia pagine patinatissime che raccolgono studi e descrizioni per ogni singolo elemento grafico apparso nel gioco, tra sfondi di una bellezza abbacinante e personaggi studiati nei minimi dettagli. Ma non è tutto: Cosmo ha pubblicato anche le storie a fumetti, ambientate nell’universo narrativo del gioco, il cui titolo Fole e fanfaluche a fumetti basta da solo a trasmettere le atmosfere che caratterizzano le avventure di Cuphead e Mugman. [Claudio Magistrelli]
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