Se nel nuovo millennio sono gli sceneggiatori le vere rockstar del mondo del fumetto americano, sfogliare Gideon Falls è come fare un tuffo negli anni ’90, quando nulla poteva essere più importante della spettacolarità dei disegni. Capitolo dopo capitolo, Andrea Sorrentino sta sfoggiando una maturità artistica che impressiona per solidità, consapevolezza e immaginazione. Eppure, sotto le sue soluzioni grafiche visionarie di Sorrentino scorre la solida sceneggiatura di Jeff Lemire, la cui potenza fluisce attraverso le tavole del suo disegnatore senza ambire a rubare la scena.
Prendiamo ad esempio il primo capitolo del secondo volume di Gideon Falls. Dopo la rivelazione con cui si era chiuso il tomo precedente era lecito attendersi un escalation di tensione, invece Lemire ribalta ancora una volta le aspettative del lettore con un episodio di quiete. Quasi fosse il season opening di una serie tv alla seconda stagione, le due coppie di protagonisti si ritrovano inaspettatamente a condividere dei momenti di riflessione introspettiva, finora quasi assente, ritmati attraverso un montaggio di inquadrature dal sapore televisivo. Poi, come un calcio che butta giù una porta, Lemire decide di trascinare nuovamente il lettore nel gorgo del male su cui Gideon Falls sembra essere stata costruita, mentre le sempre più imprevedibili tavole di Sorrentino emergono come una spirale.
È un incastro di elementi complementari quello che costituisce la colonna portante di Gideon Falls. Così come la polverosa routine dell’America rurale è la compagna naturale del horror metafisico, così le sceneggiature millimetriche e ancorate alla struttura del genere predisposte da Lemire sono il contraltare ideale dell’approccio visionario offerto dalla narrazione per immagini di Sorrentino.
Il ricorso a ricordi, premonizioni e altri meccanismi narrativi, legati da sempre a questo genere dalla narrativa, attraverso cui la trama di Lemire procede nei sui balzi risulta una soluzione forse un po’ semplice, ma che si accetta di buon grado perchè consente a Sorrentino di proseguire il suo processo di decostruzione della tavola e della gabbia quando il racconto si sposta dal piano del reale a quello orrorifico.
Quella della seconda parte del volume è davvero un’esplosione, visuale e concettuale, a cui Lemire e Sorrentino arrivano con un climax incalzante. La serie di indizi sparsi lentamente in precedenza si allineano a suggerire un disegno più grande, i cui contorni si iniziano a intravedere solamente negli sconvolgenti capitoli finali di questo secondo volume, in cui l’intersezione tra i due filoni narrativi trova un punto di incontro non impossibile da prevedere, ma comunque scioccante per premesse e conseguenze.
In genere, nelle storie in cui abbondano i misteri l’incipit è la parte più semplice, il grosso della difficoltà viene dopo, quando rivelazioni e nuovi colpi di scena devono dosarsi con precisione e perizia alchemica per mantenere tensione e senso della scoperta sempre a un livello abbastanza alto, preoccupandosi al contempo di non perdere la fiducia del lettore tirando troppo a lungo la corda. Gideon Falls senza dubbio riesce nell’impresa, anzi a conclusione di questo secondo volume pubblicato da Bao l’attesa per i capitoli successivi è ancora più alta, segno che la strada tracciata da Lemire & Sorrentino (senza dimenticare l’insostituibile apporto ai colore di Dave Steward) è quella giusta, come per altro certificato dal prestigioso riconoscimento di Migliore Nuova Serie ottenuto agli Eisner Award del 2019. E chissà cosa sarà in grado di realizzare questa coppia maneggiando un personaggio eclettico come il Joker nella loro nuova serie annunciata da DC Comics al Comicon di San Diego.
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