Questi bambini di Napoli avevano rubato armi e proiettili e combattuto i tedeschi per quei giorni durante i quali eravamo rimasti immobilizzati al valico di Chiunz“. Nel 1943 “i bambini di Napoli” per tutto il mondo furono quelli ritratti e descritti da Robert Capa, probabilmente il più famoso fotoreporter di guerra, all’indomani dall’arrivo degli alleati, quando la buona novella era la caduta del duce, ma da una scuola partiva un corteo funebre di venti piccole bare a contenere i corpi di bambini partigiani i cui piedi, alcuni nudi e sporchi, fuoriuscivano dalle casse costruite alla meno peggio. Intorno le madri dolenti. È il 1943, dicevo, leggenda narra sia l’anno di nascita a Napoli di Elena Ferrante, da lì a breve sarebbero nate Lina e Lenù, le protagoniste del romanzo ambientato a partire dai primi del ’50, pochi anni dopo lo scatto di Capa, nella Napoli del dopoguerra in piena ricostruzione. Dalla pubblicazione dellAmica Geniale i bambini di Napoli, per gran parte del mondo (di lettori) sono Lila e Lenù, insieme ai loro più o meno coetanei, i personaggi che la scrittrice ci fa conoscere attraverso quattro decadi e altrettanti romanzi.

Se le tue fotografie non sono all’altezza, non sei abbastanza vicino”. Capa sosteneva che per fotografare la guerra dovevi essere vicino, se il risultato non era buono è perché non eri indietro rispetto alla situazione. Elena Ferrante con L’Amica Geniale mi ha fatto pensare a lui, a suo modo anche l’autrice è una reporter di guerra, vicinissima all’azione, così vicina da immortalarla perfettamente con parole che restituiscono vividamente la violenza del vissuto, le vite misere, le aspirazioni di ascesa sociale in conflitto con un classismo connaturato, e le emozioni ferine del Rione, osservatorio e al tempo stesso laboratorio di una umanità sempre in guerra con sé stessa, con gli altri, con il vicinato, quel particolare tipo di umanità che la maestra Oliviero – non senza una rigida superbia – definisce “plebe”: solo in un secondo momento Lenù, l’io narrante della storia, comprenderà quanto questa definizione sia spietata, cinica e senz’appello, indirizzata a individui connotati da una volgarità d’animo e d’intenti, con l’attenzione irrimediabilmente rivolta verso il basso.

E tra tutta questa feroce povertà raccontata senza retorica e pietismo, ma attraverso una narrazione precisa e avvincente che nel lettore induce perfino tenerezza, oltre che una curiosità costantemente alimentata, spicca la storia di un’amicizia, quella tra Lila e Lenù, centro vitale e cuore palpitante della quadrilogia.

Decisi che dovevo regolarmi su quella bambina, non perderla mai di vista, anche se si fosse infastidita e mi avesse scacciata.

Elena Greco, detta Lenù, è ammirata e intimorita da Lila, Raffaella Cerullo, dall’intelletto prodigioso e l’apparenza di una bimba piccola e indifesa, ma nei fatti indomita e ingovernabile. Con la fascinazione di Lenù per Lila, mista a una vaga invidia ricalibrata poi su un costruttivo desiderio di miglioramento, nasce un’amicizia e un rapporto complesso e profondo in cui si avvicendano sentimenti contrastanti e conflittuali. Nel corso dell’intera opera ci sarà spazio per innamoramenti, amori e passioni, ma la vera grande storia d’amore è il rapporto tra le due protagoniste mostrato attraverso un racconto che restituisce all’amicizia femminile quella complessità che troppo spesso le viene negata e sottratta.

Quella tra Lenù e Lila è la differenza tra il talento e il genio, tra la ferrea volontà e il prodigio naturale. La prima è una studentessa infaticabile, ligia al dovere, la cui sicurezza e autostima passano attraverso le lodi degli insegnanti, Lila è il genio furoreggiante refrattario a ogni autorità: se la vita è un palcoscenico, Lila è la persona che vede il dietro le quinte, sue sono le osservazioni acute e le intuizioni rivelatrici che Lenù prende in prestito e rielabora per ottenere una chiave di lettura del mondo circostante.

Sembra dunque scontato individuare chi delle due è l’amica geniale, ma non dobbiamo dimenticare che il punto di osservazione è quello personale della narratrice che nutre amarezza ma percepisce anche l’onore di essere sì l’eterna seconda, ma piazzata dietro qualcuno fuori dalla portata di chiunque. Lila è dunque il continuo pungolo al miglioramento, una costante lezione di umiltà per Elena che, nonostante le sia stato concesso di proseguire negli studi, per eccellere ha comunque bisogno dell’aiuto dell’amica rimasta ferma alla quinta elementare. Dal canto suo Lila avrebbe avuto bisogno di una guida, di un esempio, per riuscire a governare e incanalare tanto estro, ma senza poter proseguire gli studi è per lei sfumata la possibilità di trovare nella maestra Oliviero, o in qualsiasi insegnante o figura autorevole, una guida che le insegnasse a incanalare l’esuberante intelligenza: le resta Lenù, l’unico doloroso contatto con quello che sarebbe potuto essere, l’univa via di fuga, seppure indiretta, dal rione.

Lila la conosciamo dunque raccontata, ammirata e scrutata dagli occhi di Lenù, le sue azioni vivono sulla pagina perché penetrano e modificano il mondo della sua amica, ma chi è davvero il personaggio, al di là dell’essere un animo selvatico dotato di una lucida capacità di discernimento, sta a noi scoprirlo tra le righe al netto delle osservazioni dell’io narrante: è il lettore che deve farsi carico della scoperta di Lila là dove Lenù ci è, per ovvi motivi, perfettamente manifesta, ed è proprio l’innocente, quasi didascalico titolo di questo primo romanzo, a fornirci la combinazione per aprire brevemente quella cassaforte che è l’animo di Lila regalandoci un momento di grande intensità emotiva.

Se non c’è amore, non solo inaridisce la vita delle persone, ma anche quella delle città.”

E il rione è un posto senza amore, vibrante di un ampio spettro di passioni ma nessuna delle quali riconducibile al calore umano che dovrebbe emanare il sentimento d’amore. Tra moglie e mariti, genitori e figli, tra famiglie e bambini, troviamo acredine, invidia, simpatie, risentimento, alleanze e rancori quasi tutti sotto-prodotti della miseria e di quel desiderio frustrato di rivalsa sociale che sfocia per alcuni nella rassegnazione, per altri in una violenza in attesa di esplodere.

Le strade che Lenù e Lila percorrono prima da bambine, poi da ragazze – il libro è suddiviso in due parti: infanzia e giovinezza – veicolano un’immagine dell’area di Napoli che si smarca completamente dall’immagine pittoresca, statica, da cartolina, che accompagna la città in giro per il mondo per diventare palcoscenico di quella che è a tutti gli effetti un’epopea su Napoli. Anche in questo Elena Ferrante si è dimostrata innovativa nel raccontare con immagini nuove quello che è già stato mostrato mille altre volte, scalzando nell’immaginario collettivo rappresentazioni ormai cristallizzate. La Napoli di oggi è quella di Ferrante, di Lila, Lenù e del rione.

Note

L’Amica Geniale è pubblicato da edizioni e/o.

In autunno verrà trasmessa la prima stagione della serie tratta dalla quadrilogia di Elena Ferrante. La produzione è frutto di una collaborazione tra Rai, HBO e Tim Vision.



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Mara Ricci

Serie tv, Joss Whedon, Jane Austen, Sherlock Holmes, Carl Sagan, BBC: unite i puntini e avrete la mia bio. Autore e redattore per Serialmente, per tenermi in esercizio ho dedicato un blog a The Good Wife.

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