Monika Ledesma è una brillante programmatrice della multinazionale Cyber Joy, specializzata in realtà virtuale e intrattenimento.

A causa dell’abuso e del cocktail di stupefacenti, vitamine e altre sostanze che deve assumere per lavorare, Monika subisce un’improvvisa e grave mutazione: il suo corpo diviene infatti di biosilicone.
Una sostanza i cui effetti sono ancora sconosciuti e che suscita l’interesse di numerose multinazionali, desiderose di poter lucrare sulle sue applicazioni in ambito militare e industriale.

Queste le premesse per una delle opere più affascinanti dello spagnolo Miguel Ángel Martín che, in un solo volume, arricchisce la riflessione sul rapporto tra pulsione di morte ed erotismo con un omaggio alla fantascienza, alla biotecnologia e al cinema fantascientifico – in particolare Videodrome, lungometraggio del 1983 firmato da David Cronenberg. Sebbene non ricopra un ruolo di primo piano nel corpus letterario dell’autore, anche a causa della contemporanea scrittura del più noto Brian the Brain, Rubber Flesh suscita comunque un grandissimo interesse per due aspetti fondamentali: la protagonista e il suo rapporto con i figli.

Nel futuro descritto in Rubber Flesh, similmente a come accade in un classico quale Il mondo nuovo, assistiamo alla progressiva decostruzione dei costumi di carattere borghese. I consumi di droghe e l’intrattenimento solipsistico, accompagnati da rapporti umani poco profondi ed edonistici, sono la norma. Anche le alterazioni del corpo umano e un relazionarsi alterato con la realtà e il virtuale non suscitano stupore, anzi sono fortemente cercate da tutti i personaggi che compaiono nel fumetto.

La violenza e l’erotismo che si alternano ripetutamente hanno una duplice valenza: shockare il lettore e la lettrice e, contemporaneamente, rompere gli schemi dei media tradizionali.

Monika è una protagonista semplicemente perfetta per descrivere una società che sembra una diretta emanazione della borghesia che, agli inizi degli anni ’90, sembrava guardare con fiducia al futuro “oltre la storia”. Per questo motivo la protagonista non appare mai profondamente scossa dalla trasformazione avvenuta: lei è parte di un segmento sociale ruspante, che ha la possibilità di godere dei piaceri della vita grazie ai propri guadagni e alla propria posizione sociale.

Paradossalmente a sconvolgere la routine di Monika sarà non la trasformazione o gli scontri con i sicari sulle sue tracce ma, bensì, la nascita di un figlio.

Il rapporto tra madre e figlio, aggravato da una lunga serie di variabili che Martín utilizza per rendere difficile per i lettori assumere una netta presa di posizione, è il vero protagonista dell’opera.

Cortocircuitare il punto di vista edipico, legare il tema della maternità a una società deumanizzata e deumanizzante, collegare il tutto attraverso le questioni etiche legate alla riproduzione di corpi non sempre sottoposti al naturale processo di nascita-crescita-morte sono solo alcuni dei temi affrontati nel corso dell’opera. Il risultato è un cammino ambizioso che, però, ha un esito nichilistico. Una conclusione emblematica? Forse sì.

Ma è la conclusione di un cammino che sembra prolungarsi gratuitamente sugli elementi più granguignoléschi e il cui messaggio, oggi, è reso meno efficace da un’informazione, una comunicazione e la possibilità di reperire immagini e video crudi reali molto più facilmente rispetto agli anni in cui Rubber Flesh è stato cancepito e realizzato. Siamo ormai oltre l’orizzonte della fine della storia, come ci è stato duramente ricordato durante l’estate e l’autunno del primo anno del nuovo millennio.

È giunto il momento in cui si facciano i conti con i fantasmi del primo mondo.

E se dell’occidente capitalista restasse solo un nostro dito?



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Dario Oropallo

Ho cominciato a leggere da bambino e, da allora, non ho mai smesso.

Anzi, sono diventato un appassionato anche di fumetti, videogiochi e cinema: tra i miei autori preferiti citerei M. Foucault, I. Calvino, S. Spielberg, T. Browning, Gipi, G. Delisle, M. Fior e S. Zizek.

Vivo a Napoli, studio filosofia e adoro scrivere. Inseguo il mio sogno: scrivere.

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