L’aspetto più interessante della lettura a ritroso di Yoshiharu Tsuge è la possibilità di cogliere nei suoi racconti autobiografici giovanili quei semi già visti maturi – o addirittura decadenti – ne L’uomo senza talento. Mentre nel precedente volume pubblicato da Canicola, valso alla casa editrice il Premio Stefano Beani per l’iniziativa editoriale a Lucca 2017, Tusge raccontava di un uomo stanco, alla fine della sua carriera e prossimo all’ultima fase della vita, Il giovane Yoshio è una raccolta di sei racconti ambientati negli anni giovani dell’autore.
Ancora una volta, la prima pagina è quasi un manifesto programmatico. Lo spazio della pagina è occupato interamente da due vignette. La prima prende due terzi del foglio. Vi si vede un uomo al lavoro in una fabbrica, ha un fazzoletto legato intorno a bocca e naso mentre immerge degli zippo in una bacinella con del liquido scuro. La didascalia recita: “Il capo della galvanotecnica Oba è morto di turbercolosi un anno fa”. Nella vignetta sottostante, più piccola, un uomo giace riverso al suolo, il braccio appoggiato su delle taniche le cui etichette riportano la descrizione di cianuro e altri acidi in ideogrammi. “Accade spesso agli operai di queste fabbriche”.
Eppure nonostante le condizioni di vita del Giappone post-bellico siano decisamente peggiori rispetto agli anni ’70-’80 in cui Sukesan Sukegawa, alter ego dell’autore, si crogiolava nella sua assenza di talento, il giovane Yoshio mostra comunque una voglia di vivere e una genuina curiosità che sorprendono. Vive la fabbrica, malsana e pericolosa, quasi come un gioco, ma anche come un motivo di orgoglio e di auto-determinazione, benché la sua ambizione sia finire su una rivista che pubblica manga.
Forse è l’ambiente familiare a rendere la mortale prospettiva della fabbrica persino allettante. La famiglia di Yoshi come molte altre del Giappone dell’epoca può contare spesso solo sugli introiti garantiti dal lavoro dei bambini. Gli adulti sono raffigurati come figure indolenti, rancorose, spesso violente, volgari e lascive.
Nella visione della vita di Tsuge, solo i bambini sembrano temporaneamente immuni a quella meschinità che permea l’intera società ad ogni livello. Yoshio si muove quasi ignaro nello spietato realismo raffigurato da Tsuge, dando di rado segno di registrare lucidamente l’opportunismo e la meschinità delle figure che lo circondano. A partire dalla madre e dal patrigno, quest’ultimo un uomo duro e umorale di cui la madre è succube più per motivi economici e di opportunità, che per un qualche distorto legame affettivo.
La quotidiana quiete apparente del ragazzo viene però stravolta quando i genitori decidono di trasformare la casa in una tessitoria, obbligandolo ad abbandonare il lavoro per aiutare tra le mura domestiche. La tardiva disillusione di Sukesan Sukegawa è ancora lontana da Yoshio, la cui giovane età gli consente di abbandonarsi a una cotta per l’amica libraria, di poco più grande di lui, senza comprendere cosa stia succedendo tra la ragazza e il vecchio proprietario del locale.
Così come ne L’uomo senza talento, il sesso nella narrativa di Tsuge è qualcosa di triste, squallido, inteso quasi sempre come merce di scambio o strumento di vendetta, dunque di conseguenza persino degradante. Non è un caso che la proprietaria della fabbrica sia rappresentata per l’ultima volta in un amplesso col suo nuovo operaio prima di abbandonare Yoshio e i macchinari e fuggire inseguita dai debiti. Allo stesso modo è un’aggressione sessuale – suggerita, ma non mostrata – a consentire alla giovane libraria di far emergere il suo lato opportunistico, mantenendo lo stipendio da commessa senza più necessità di recarsi ogni giorno in negozio.
Yoshio è senza dubbio incuriosito dal piacere sessuale, ma è troppo timoroso o forse pavido, due elementi che caratterizzano la sua estraneità alla realtà in cui è immerso, ma ad ogni modo non è morbosamente attratto come molti altri dei personaggi che lo circondano. Si lascia tentare dall’invito notturno della matura vicina di casa, la quale per vendicarsi dei tradimenti del marito passa le notti insieme a dei ragazzi nel tatami. Ma quando la donna crolla addormentata senza dedicare ai ragazzi le attenzioni promesse, la frustrazione concede a Yoshio solo un timido approccio, subito rinnegato per paura che il suo desiderio possa concretizzarsi.
Il rapporto di Yoshio con le donne, a partire dalla madre, è fonte di costante e crescente frustrazione. Non ancora ai livelli de L’uomo senza talento, in cui le figure femminile venivano tratteggiate sempre come infide, ma in maniera simile Yoshio patisce la volontà della madre di non difenderlo di fronte al patrigno, ma anche i continui rifiuti da parte delle donne da cui è attratto, che tuttavia non si negano ad altri uomini, anche se già sposate, o si prestano senza remore a prendere parte a situazioni ambigue.
Benché evidente già ne Il giovane Yoshio, la difficoltà verso il genere femminile non è esemplificativa di semplice misoginia, bencì di una più complessa ed estesa misantropia. Salvo poche figure, per lo più stilizzate ed idealizzate, tutti gli esseri umani con cui entra in contatto si approfittano in qualche modo di lui per poi abbandonarlo. Tutto ciò è particolarmente vero per il maestro mangaka dell’ultimo racconto, Il giovane Yoshio che dà il titolo al volume, che sembra prendere il ragazzo sotto la sua ala per trasmettergli la propria conoscenza, ma finirà per lasciarlo in una situazione ben più scomoda e complicata rispetto a quella iniziale.
Se all’inizio il manga è un’ambizione di rincorrere per Yoshio, già nel susseguirsi dei racconti inizia trasformarsi in un lavoro poco gratificante, poco remunerativo e soprattutto legato a ritmi disumanizzanti. L’entusiasmo per la prima pubblicazione svanisce presto e si ripresenta solo quando in quei momenti in cui Yoshio da fondo alle sue doti di improvvisazione per rimediare qualche spicciolo, raccogliendo mozziconi da terra o riparando piccoli elettrodomestici: attività infime, che sfuggono alla logica della produzione e forse proprio per questo motivano risultano le sole a gratificarlo davvero.
Grazie a Canicola, un altro tassello della bibliografia di Tsuge è disponibile in italiano, attraverso la traduzione di Vincenzo Filosa, autore anche dell’editoriale che apre/chiude il volume. Il fatto che altri editori, come Oblomov che ha pubblicato di recente Nejishiki dello stesso autore, non può che essere un segnale incoraggiante.
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