In seguito all’abbandono dei loro genitori, Kokoro Suzuhara e la sua sorellina Yuke, di soli cinque anni e cieca, vengono affidati al campus Hoozuki, un istituto per bambini provenienti da famiglie difficoltose che si trova su una piccola isoletta. Oltre ai due bambini la popolazione locale ammonta in tutto a quattro insegnanti e sei studenti, ai aggiunta all’anziano proprietario dell’isola che funge anche da traghettatore. Un luogo paradisiaco, dove una ex base militare riconvertita a scuola è immersa in una natura incontaminata, in cui tuttavia qualcosa sembra fuori posto già dal primo sguardo. E il nomignolo con cui è stata battezzata dai suoi ospiti, l’isola dei bambini dimenticati
Eppure il primo impatto di Kokoro e Yuke col nuovo ambiente è tutto sommato simile a quello di qualunque altro bimbo finito in una situazione simile. C’è la riunione di presentazione con gli insegnanti e gli altri alunni, il giro per le stanze dell’istituto, tutte di legno e scricchiolanti e i primi approcci tra coetanei. E come spesso accade ci sono le leggende che circolano tra i bambini, storie miticizzate e ingigantite, che passando di bocca in bocca diventano tragedie.
Ritrovarsi confinati su una piccola isola senza contatto con l’esterno aiuta i miti a proliferare. Può succedere quindi che l’ex alunno tornato sulla terra ferma per curarsi diventi nei racconti dei suoi piccoli compagni rimasti sull’isola la vittima di un diabolico piano degli adulti. Ovvero i soli adulti nei paraggi: considerando le storie di abbandono e disagio familiare che accompagnano tutti i giovani ospiti dell’istituto, è facile capire perchè la fiducia nei confronti dei grandi sia così bassa. A Kokoro, ad esempio, viene detto subito di non fidarsi dei professori. Di nessun professore, persino della maestra Yukino, nonostante l’aspetto innocente ed amorevole. Un ammonimento che pare esagerato perfino al bambino, finchè nel cassetto chiuso a chiave della scrivania che apparteneva a Hisanobu, l’ex alunno scomparso “scomparso”, Kokoro trova un coltello insanguinato.
Kei Sanbe, già autore di Erased e La culla dei demoni, è bravo mantenere la sua storia sempre sul filo, guidando il lettore ora verso l’ipotesi dell’esagerazione dei bambini ora verso la presenza di un killer. Qualcosa di strano però si muove davvero sull’isola. E non si tratta solo dell’inquietante fantasma della bambina di bianco vestita che appare nei momenti più opportuni per aiutare i bambini in pericolo. Il vero mostro con cui si entra in contatto nel primo volume però è molto lontano da ciò che immaginano gli studenti: tra i professori c’è davvero qualcuno di cui non bisogna fidarsi e la prima a scoprirla è una sua collega molestata sotto la doccia.
Così, pagina dopo pagina, Sanbe sembra quasi giocare con le percezioni, rispondendo alle enormi ed immotivate preoccupazioni dei più piccoli con minacce molto meno misteriose o sanguinolente, forse più semplici e banali, ma ugualmente terrorizzanti. Proprio quando l’intreccio pare virare verso l’abusata metafora de “i veri mostri siamo noi”, qualcosa di inaspettato e decisamente più violento inizia tuttavia ad accadere sull’isola. Morti accidentali o presunte tali si accavallano mentre presenze oscure, eppure decisamente umane scrutano malvagie tra la fitta vegetazione.
E se avessero ragione i bambini? Se davvero gli adulti nascondessero qualcosa di ancor più pericoloso della morbosità carnale, che Sanbe asseconda con inquadrature appositamente studiate per esaltare le forme femminili? Benchè in questo primo volume l’autore non si conceda troppo tempo per regalare una tridimensionalità credibile ai suoi personaggi, costruendoli intorno ad archetipi utili allo scopo, la storia riesce ad ingranare presto, grazie anche un setting preciso e ben studiato che diventa in breve uno dei protagonisti del racconto.
Pur non spiccando per originalità, L’isola dei bambini dimenticati stimola l’interesse e si presta a diverse riflessioni grazie al suo costante muoversi nel terreno nebuloso che si trova a cavallo dei generi, presentandosi ora come un teen mistery, ora come un thriller a tinte torbide, lasciando che il sovrannaturale faccia costantemente capolino alludendo a sviluppi futuri che riportano alla mente quel classicone televisivo di Lost.
Il secondo
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