27 maggio 1940: quasi mezzo milione di soldati inglesi, belgi e francesi è accerchiato dalle forze naziste sulla spiaggia di Dunkerque. L’unica speranza per evitare la disfatta è un’evacuazione navale di massa, da effettuare con ogni mezzo. Le storie di alcuni soldati, di una famiglia e del pilota di uno Spitfire alleato si intrecciano durante questi giorni cruciali…
Unico, sicuramente; irripetibile, forse; memorabile, a suo modo.
Dopo aver ripensato il genere superoistico, Christopher Nolan approccia quello bellico, che tutti i grandi registi hanno dovuto frequentare nella propria vita professionale per definirsi tali, riuscendo nel miracolo di innovarlo effettuando scelte atipiche e draconiane. Lo spettatore è abituato da anni a seguire le vicissitudini di personaggi eroici e carismatici? Eliminiamo la figura del personaggio principale e proponiamo solo figure (a loro modo) secondarie. La narrazione è lineare? Sparigliamo le carte e utilizziamo piani temporali differenti. Associamo i film di guerra a battute, monologhi o dialoghi memorabili? Non in Dunkirk: qui i personaggi si scambiano tra loro solo poche, essenziali parole.
Insomma, Dunkirk non somiglia ad quasi nessun altro film bellico visto fino a oggi e, se con qualcuno ha dei tratti in comune (il più “simile” potrebbe essere La Sottile Linea Rossa), sono solo dettagli, atmosfere, inquadrature. Siamo insomma lontani dalla eclatante grandeur di pietre miliari quali Apocalypse Now o Il Ponte sul fiume Kwai, all’introspezione psicologica de La Grande Illusion o Orizzonti di Gloria, allo spirito irriverente e sardonico di Full Metal Jacket, all’epica stars & stripes di Salvate il Soldato Ryan.
Nolan viaggia nel tempo, ricostruisce pezzo per pezzo mezzi, armi, locations e piazza la cinepresa là dove avrebbe potuto essere ubicata se settant’anni fa fosse stato possibile girare una ripresa live degli eventi, rappresentando la banalità della guerra ed il fatto che vita e morte possono dipendere da pochi centimetri o da una frazione di secondo. Il tutto, ovviamente, senza rinunciare all’epica “visual” che ha caratterizzato ogni sua produzione passata. In questo senso il regista dimostra per l’ennesima volta di saper padroneggiare al meglio l’arte del raccontare per immagini e di essere un vero “film-maker“, riuscendo ad armonizzare al meglio tutte le componenti dell’esperienza filmica: l’originale e coraggiosa partitura di Zimmer in primis, poco efficace se scissa dalle immagini ma perfettamente funzionale nel commentarle, la fotografia rarefatta di Hoyte van Hoytema, il montaggio serrato di Lee Smith. Dunkirk è soprattutto, un fantastico lavoro di squadra.
Di fronte ad una così schiacciante e maestosa dimostrazione di forza del comparto audiovisivo (andate in un buon cinema a vedervi il film), l’apporto attoriale potrebbe sembrare di secondaria importanza ed invece il cast all-british assemblato dal regista, pescando tra nomi noti e teen star, funziona alla perfezione: tutti fanno la loro parte come una truppa ben organizzata, anche se nel gruppo è il solito Tom Hardy (oramai abituato a recitare con occhi e sopracciglia quando lavora per Nolan) a spiccare e la sua espressione rassegnata ma consapevole alla fine del film vale da sola il prezzo del biglietto (assieme a tutto il resto, ovvio).
Nonostante qualche soggettiva imperfezione (c’è meno pathos rispetto ad altri film del genere, la narrazione non lineare a volte confonde, non esiste un vero e proprio plot) Dunkirk si smarca dal genere bellico classico per inaugurare una nicchia tutta sua, confermando la capacità di Nolan di trovare chiavi di lettura nuove ed originali per raccontare la banalità del male e la forza della speranza.
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