Quando l’epoca del disegnatore è tramontata sul fumetto americano, sulle copertine dei comic book i nomi degli scrittori hanno iniziato a ritagliarsi sempre più spazio, fino a diventare l’elemento cardine in grado di garantire il successo commerciale di una serie. Mentre un nuovo millennio si apprestava a raccogliere il testamento dal precedente, fisici ipertrofici e tasconi multiuso lasciavano spazio a trame più articolate, ma soprattutto più profonde.
Paradossalmente per questo nuovo trend bisogna ringraziare la Image, casa editrice indipendente fondata da un manipolo di disegnatori fuoriusciti da Marvel & DC per monetizzare quell’epoca d’oro che le loro matite prestate a una valanga di variant cover avevano contribuito a creare. Scoppiata la bolla del collezionismo e svanito l’effetto WOW per uno stile di disegno che aveva ormai contagiato qualunque professionista del continente, qualcuno negli uffici della Image realizzò che per evitare di affondare come il resto del carrozzone si sarebbe potuto invitare a bordo qualcuno con il talento per la scrittura.
Facendola molto breve, il momento della svolta per i fumetti di supereroi a stele e strisce si può far coincidere con l’arrivo di Warren Ellis ai testi di Stormwatch
Nel corso degli anni la carriera di Ellis non ha però assunto una traiettoria precisa, come quella di un Alan Moore irremovibile nella sua convinzione di non incrociare mai più la strada con quella di una major del fumetto, oppure quella di un Grant Morrison che da anni prova a contagiare il sistema dall’interno pervadendo della sua filosofia le produzioni mainstream cui si dedica
Ellis alterna senza soluzione di continuità incarichi per la Marvel & DC a lavori creator owned espandendo al contempo i suoi orizzonti professionali anche alla letteratura e alla tv, con un paio di romanzi scritti negli ultimi 10 anni e una serie di collaborazioni alla sceneggiatura di serie animate, tra cui la recentissima Castlevania prodotta da Netflix.
Il risultato del suo ondivago girovagare è l’impossibilità di stabilire a priori quando il suo prossimo lavoro davvero importante sia all’orizzonte. Nel suo continuo ritorno tra le braccia della Marvel, Ellis ha alternato serie bellissime e rivoluzionarie (NextWave, Thunderbolts, Moon Knight
Più in generale, Ellis dà sempre l’impressione di non voler svendere le sue brillanti idee, tirandone fuori mai più di una per ogni incarico con una major, da dilatare nel numero di albi commissionato. C’è da dire che i suoi centellinati sforzi nella maggior parte dei casi producono comunque serie superiori alla media degli altri albi che raggiungono gli scaffali delle fumetterie, perciò non si può dargli torto.
Da lettore però ogni nuova serie Marvel firmata da Ellis deve essere approcciata come una lotteria. E considerato il recente jackpot centrato con Moon Knight, le probabilità che Karnak
Karnak, per iniziare, non è solo un personaggio minore del pantheon Marvel a cui Ellis può riservare il suo trattamento senza freni e fuori dagli schemi, come successo per Moon Knight. Karnak è un Inumano, ovvero un membro di quella grande famiglia che la Marvel sta cercando di trasformare nei nuovi X-Men, nel tentativo nemmeno troppo velato di svalutare il franchise ceduto alla FOX tempo fa (anche se nessuno alla Casa delle Idee confermerà mai questa versione).
C’è un piccolo problema però. Gli X-men erano un branco di ragazzini ribelli, reietti, rifiutati dai genitori: teenager resi speciali dalla loro diversità. Gli Inumani invece sono membri di una famiglia reale, un elite che ritiene gli umani inferiori e che ha per questo eletto a loro casa il lato oscuro della Luna allo scopo di sfuggire a sguardi indesiderati. Sul piano della simpatia di lavoro da fare ce n’è parecchio, insomma.
Karnak però è un Inumano sui generis, perché i suoi genitori gli hanno negato il potere derivante dal contatto con le Nebbie Terrigene, rito a cui ogni Inumano viene sottoposto al raggiungimento della maturità. Per sviluppare la sua unicità Karnak ha dovuto dedicarsi a uno studio matto e disperatissimo, attraverso il quale ha acquisito l’abilità di vedere il punto debole di ogni cosa. Non c’è difetto che sfugga a Karnak, sia quello di un corpo, di un metallo o di una filosofia. Persino nella morte ha scovato una crepa che l’ha ricondotto tra i vivi.
Eppure Karnak resta pur sempre un Inumano. Altezzoso. Fiero. Superiore. E così Ellis ce lo propone fin dalle prime pagine, severo e austero con i suoi studenti che abbandona per svolgere una missione per lo S.H.I.E.L.D. dietro lauto compenso, sprezzante con l’agente Coulson eletto a spalla comica dell’avventura, noncurante dell’incolumità di chiunque attraversi la sua strada. D’altra parte, di fronte alla visione che Ellis ha di Karnak, cinico, nichilista, introspettivo e caustico, capace di battute fulminanti e letture della realtà spietatamente gelide nella loro essenzialità, nessun comprimario potrebbe risultare alla sua altezza.
Anche trovare una nemesi per un personaggio in grado di individuare il punto debole di qualunque avversario al primo sguardo, facendo esplodere teste e articolazioni con la pressione, non era un’impresa semplice. Qual è insomma il punto debole di Karnak? Se vita e morte sono solo due differenti stati chimici, mentre l’esistenza di una roccia è più significativa di quella umana, chi o cosa può incrinare la convinzione di Karnak che il senso della vita stia nel non desiderare nulla?
L’attacco al cuore filosofico di Karnak arriva dall’oggetto stesso della sua prezzolata ricerca, un ragazzino investito dalle Nebbie Terrigene, guarito dall’allergia e rapito da una setta di mitomani o trasformato dal mutageno in un messia onnipotente a seconda delle versioni. Una vera e propria incarnazione del “volere è potere”, un dispensatore di possibilità che minaccia con la sua stessa esistenza le fondamenta dei ogni più radicata credenza di Karnak. Ma che soprattutto lo costringe ad osservare dritto negli occhi il proprio punto debole, il rifiuto del cambiamento che l’Inumano porta con sé fin dal momento in cui i genitori gli negarono le Nebbie Terrigene.
Oltre a confermare l’acclarata abilità nell’allestire scene di combattimento di grande effetto, Ellis approfitta dell’occasione per costruire la rincorsa di Karnak verso la sua nemesi come una gigantesca allegoria dai ruoli sfumati. Alcuni passaggi sembrano suggerire che quella messa in scena dal britannico sia l’eterna lotta tra la libertà creativa delle etichette indipendenti contro il controllo totale delle major, altre volte invece pare addirittura prendere in giro la concezione dello scrittore come demiurgo portata avanti da qualche collega.
Ancora una volta dunque Ellis ha preso in mano un personaggio secondario dell’universo Marvel e attraverso un lavoro di riscoperta della sua essenza lo ho restituito dopo una manciata di storie lasciandogli in dote una valigia piena di nuovi spunti pronti per essere approfonditi da altri. I limiti del suo approccio più recente ai supereroi sono noti. Storie spesso decompresse, in cui Ellis innesta davvero solo una singola idea pur spargendo qua e là una gran quantità di spunti ad usi futuri. Eppure inserito nel contesto del nuovo – forse sarebbe meglio dire costante – rilancio in corso in casa Marvel brandizzato sotto lo sloga All New All Different l’operazione Karnak è pienamente riuscita: grazie ad Ellis l’universo Marvel può contare da oggi su un nuovo Karnak, identico nelle premesse al personaggio originale eppure profondamente differente per carisma e potenziale narrativo.
Ellis fa un gran lavoro per gestire la totalizzante figaggine di Karnak, superiore ad ogni evento o comprimario, disinnescando il rischio della farsa grazie al tempismo con cui inserisce nel racconto piccole situazioni comiche che sdrammatizzano la roboante scia epica che l’Inumano porta con sé. Nella decompressione del suo stile odierno Ellis infila lunghe sequenze di combattimento senza dialoghi, perfettamente coreografate nei primi due dei sei albi che compongono il volume dalle anatomie plastiche ed esagerate di Gerardo Zaffino, che coniuga la tradizione argentina con la spettacolarità del manga e tavole graffianti alla Barry Windsor-Smith, contribuendo alla costante tensione tra epopea e farsa. Purtroppo i restanti quattro albi sono stati affidati Roland Boschi, di sicuro altrettanto talentuoso, ma molto diverso nello stile da Zaffino sul cui tratto Ellis aveva basato la sua sceneggiatore. Una maggiore rigidità nel segno caratterizza dunque la seconda parte del volume e benché il colorista Dan Brown si impegni nell’imprimere sulla pagina colori più profondi per ammorbidire le vignette di Boschi, sono soprattutto i volti a risentirne. Le espressioni più stilizzate risultano decisamente meno incisive: in particolare Karnak perde inquietante lucidità della sua follia per assumere spesso semplicemente le fattezze di un esaltato. A restituire un filo conduttore ci pensano invece le metafisiche copertine di Aja, tutte presenti nel bel volume cartonato con cui Panini ha raccolto i sei albetti che compongono la storia.
Al di là della discontinuità artistica, l’operazione Karnak può ritenersi un successo: se la Marvel riuscisse ad assicurare ad ogni suo personaggio minore – ma anche alle serie di punta a dire il vero – una simile costanza qualitativa, saremmo di fronte davvero a un qualcosa di veramente tutto nuovo e differente.
Se ti piace quello che facciamo, puoi supportarci (o offrirci una birra) comprando musica, giochi, libri e film tramite i link Amazon che trovi negli articoli, senza nessun costo aggiuntivo.
Grazie!