Ted Chiang è uno di quei nomi capaci di far illuminare gli occhi dell’appassionato di letteratura di genere, la fantascienza nello specifico, e di lasciare al contempo basito quasi qualunque altro tipo di lettore. Eppure la sua presenza tra i grandi della sci-fi moderna non è in discussione. La sua fama di nicchia si può spiegare -tra gli altri motivi – con una incrollabile riservatezza e la consumata lontananza da qualunque tipo di social media e attività promozionale.

Chiang è in effetti uno scrittore abbastanza anomalo nel panorama odierno. Mentre sugli scaffali impazzano le saghe fantascientifiche in più volumi, la sua scrittura resta saldamente ancorata alla forma del racconto. Per di più, svincolato da ogni tipo di scadenza, figlio di un’ispirazione casuale e partorito attraverso una gestazione lenta e ponderata.

Questo suo approccio, seppur poco prolifico, non gli ha impedito tuttavia di collezionare premi e riconoscimenti nell’arco della sua ormai più che ventennale carriera. Nonostante abbia al suo attivo “solo” una quindicina di racconti, il 49enne newyorkese di origine cinese può vantare quattro Nebula award e altrettanti Hugo & Locus. Oltre a una candidatura al Nebula molto genuinamente rifiutata nel 2003 per un racconto, Liking what you see: a documentary, che riteneva non meritevole in quanto pubblicato in una forma troppa grezza.

Di recente però il suo nome si emerso dalla nicchia degli amanti di racconti e sci-fi per arrivare al grande pubblico, con tanto di brillanti ritratti sulle pagine delle più autorevoli testate internazionali. Il motivo di questa tanto meritata, quanto improvvisa popolarità è l’esordio nei cinema di Arrival, la next big thing della fantascienza su grande schermo, accolta con entusiasmo oltre oceano e disponibile dal 19 gennaio anche nelle nostre sale. Si tratta di uno di quei – rari – casi in cui una cosa buona porta con sé un’altra cosa buona attivando un circolo positivo. Il racconto di Chiang ha ispirato un ottimo film di fantascienza, il successo della pellicola ha attirato l’attenzione su altri racconti che diventeranno film, e nel frattempo Frassinelli ha colto l’occasione per ristampare Storie della tua vita, la raccolta che include il racconto su cui si basa il film.

Il prezzo da pagare per questa sequenza di eventi positivi, nell’occasione, è anche abbastanza basso, e sta tutto nella sovracopertina con immagine e font presi direttamente dal film, molto meno affascinanti della cover usata nella precedente edizione. Poco male, la speranza è che qualcuno al di fuori di chi già bazzica la sezione fantascienza delle librerie finisca a leggere il libro attirato dal rimando al film. Perchè tutto quello che sta al di sotto della copertina è vero un piacere per la mente, merito anche della puntuale e scorrevole traduzione di Christian Pastore.

Benché inizialmente sia facile venire assaliti da una sorta di dissonanza, una sensazione che qualcosa strida tra le pagine, la soddisfazione monta pagina dopo pagina. È il contrasto tra gli spunti immaginifici che avviano ogni racconto e la prosa sobria, rifinita e curatissima di Chiang. Forse è deformazione professionale dovuta alla sua principale attività di technical writer per Microsoft, ma lo stile di Chiang è asciutto e a tratti algido. Una perfezione che è figlia di una cura e un processo di revisione che non conosce limiti temporali. E che si concretizza in frasi limate al millimetro, personaggi studiati con devozione, avvenimenti modellati secondo un’incedere permeato di una razionale inesorabilità.

La cura riposta in ogni singolo dettaglio consente a Chiang di costruire conseguenze di ferrea ed inevitabile logica poggiate su dei what if che rivelano una capacità di immaginare fuori dal comune. Stupisce davvero come di paragrafo in paragrafo ogni tassello vada semplicemente al suo posto, in un susseguirsi tanto inevitabile quanto stupefacente.

Il primo racconto della raccolta,  Torre di Babilonia, mostra solo un piccolo spaccato di questa abilità con una premessa tutto sommato non particolarmente rivoluzionaria: cosa sarebbe successo se la confusione dei linguaggi non avesse fermato la costruzione della torre? La narrazione inizia quando l’opera è già quasi completa. accompagnando la salita di un nuovo gruppo di operai incaricati di scalfire il cielo Chiang si preoccupa di descrivere metodi di lavoro e problematiche connesse alla vita in una torre che punta al cielo, come i cambiamenti nelle abitudini umane una volta che ci si trova ad osservare il sole dall’alto in basso.

Il piatto forte del libro, Storia della tua vita, è preceduto da due racconti che ne anticipano il tema cardine, ovvero la riflessione sul potere di modellare la realtà che appartiene al linguaggio, ricorrente in buona parte della produzione di Chiang.

Il primo dei due, Capisci immagina un uomo che in seguito a un esperimento medico sviluppa oltre ogni limite prestabilito le capacità di elaborazione del proprio cervello. Se la trama vi sembra di averla già sentita tenete a mente che il racconto è il più vecchio della raccolta ed è stato terminato nel 1990. Nel tesissimo sviluppo da thriller che ne consegue, il percorso verso la trascendenza dell’uomo passa anche attraverso il tentativo di creazione di un nuovo linguaggio, indispensabile per dare forma alle idee di una mente-superumana.

In Divisione per zero invece il linguaggio è vittima e artefice del fallimento. L’elaborazione di una teoria formale che permette di equiparare ogni numero demolisce in un solo colpo le fondamenta del linguaggio matematico e le capacità della sua scopritrice di comunicare col partner. Il peso e le conseguenze della scoperta infatti non possono essere realmente decifrate dal marito, del tutto estraneo al linguaggio matematico, il che porta la coppia a vivere una diaspora comunicativa dalle conseguenze altrettanto disastrose.

 

 

Negli appunti relativi a ciascun racconto che chiudono il volume Chiang identifica tuttavia nei principi variazionali della fisica, e non nel linguaggio, lo spunto da cui Storia della tua vita ha iniziato a formarsi nella sua mente. La scoperta dei diversi punti di partenza da cui possono essere osservati alcuni fenomeni fisici, come la rifrazione di un raggio di luce a contatto con l’acqua, consentono alla linguista protagonista del racconto di decifrare il linguaggio della popolazione aliena entrata in contatto con l’umanità.

Il linguaggio è figlio della nostra capacità di interpretare l’esistente. La sequenzialità delle lingue umane è diretta conseguenza della nostra capacità di decodificare una successione tra passato, presente e futuro. Così il linguaggio degli alieni, una ragnatela in cui i diversi elementi lessicali sono collegati da nessi causali senza una direzione di lettura, denota una diversa decifrazione della dimensione temporale.

Linguaggio e realtà vivono in una rapporto di scambio reciproco. Attraverso la comprensione del linguaggio degli alieni, la linguista acquisisce anche la loro forma mentis, spalancando le porte sulla dimensione della propria esistenza e di quella degli esseri umani che la circondano, di colpo strappate dalla processione temporale per essere svelate su una trama in cui passato e futuro si trovano sullo stesso piano. Mentre l’esistente, ciò che è esistito e ciò che esisterà si disvelano nella mente della linguista, il lettore è costretto a procedere di pagina in pagina ricucendo i pezzi dei diversi piani della storia, raccontata dalla protagonista stessa alternando paragrafi in prima persona ad altri rivolti direttamente alla figlia nella seconda persona singolare.

La precisione nella costruzione dei personaggi frutto del tempo e della dedizione di Chiang restituisce figure profondamente umane nelle azioni e nei pensieri, nelle qualità e nei limiti. Ne è un esempio particolarmente brillante Neil Fisk, il protagonista di L’Inferno è l’assenza di Dio. Vedovo inconsolabile, Neil ha perso la moglie durante l’apparizione di un angelo, entità paradisiache in realtà qui dipinte alla stregua dei cherubini immaginati da Hideaki Anno in Neon Genesis Evangelion.

La morte della donna però non è dovuta direttamente all’azione di una queste potentissime e imperscrutabili creature, ma si può annoverare tra le vittime collaterali, le più inspiegabili tra le dipartite causate dai loro rapidi passaggi nella dimensione terrena. E se venire a patti con un simile destino sarebbe difficile per chiunque, lo è ancora di più per Neil, incrollabile ateo determinato tuttavia a raggiungere l’amata nel regno dei cieli, dove la sua anima è stata vista ascendere.

La penna di Chiang entra nei personaggi e ne guida le azioni attraverso un percorso logico, coerente, in cui la razionalità dell’autore solo apparentemente sopprime le emozioni. Amare ciò che si vede: Un documentario ne è lo specchio. Chiang passa con estrema naturalezza da un lato all’altro della discussione sulla calliagnosia, un’operazione che spegnerebbe la parte del cervello incaricata di riconoscere la bellezza nei volti delle persone. I brevi paragrafi che simulano le testimonianze di questo fittizio documentario si alternano tra una posizione e la sua contraria, entrambe costruite con impeccabile coerenza, al punto che senza l’ammissione dell’autore nei commenti finali non avrei saputo intuire per quale fazione in realtà parteggiasse.

Ma forse il racconto che più di altri evidenza la capacità di emozionare di Chiang è, paradossalmente, quello che mi è piaciuto meno, ovvero Settandue Lettere. La torbida vicenda che pesca a piene mani alla tradizione ebraica, tra golem, cabala e potere dei nomi, abbandona il solco fantascientifico del volume per inoltrarsi lungo un sentiero che costeggia fantasy e horror. Tra automi, cospirazioni e spermatozoi sviluppati fuori dall’ovulo è difficile non sentirsi scorrere sotto pelle un forte senso di disagio e angoscia. Niente male per uno scrittore da qualcuno criticato per uno stile troppo distaccato.



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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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