Sogni di celluloide (ma non solo), tramonti infuocati sulla città degli angeli, luci che si accendono e si spengono mentre il duetto amoroso fra l’aspirante attrice e il pianista ossessivamente votato al jazz segue la parabola delle stagioni, da inverno a inverno. Ma a Los Angeles anche l’inverno è assolato, i colori non sbiadiscono e dalle auto intrappolate nel traffico può nascere a sorpresa uno scatenato ballo di gruppo.

Damien Chazelle apre la Mostra di Venezia seducendo con un musical contemporaneo in cui, pur ai giorni nostri, la materia è maneggiata a tratti (quasi) come se sullo schermo ci fosse Gene Kelly. La Hollywood di oggi può far sognare come quella di ieri?

Quando Mia (Emma Stone) incontra Sebastian (Ryan Gosling) inizia ad essere stanca di sbattere la testa contro l’ennesimo provino andato male, mentre lavora come barista in un café degli Studios. L’amore sembra – sulle prime – la favola che potevano vivere Lauren Bacall e Humphrey Bogart, e la donna pare poter maneggiare i sogni e i sospiri amorosi come facevano Katharine Hepburn o Ginger Rogers. Lui, ruvido e dalle maniere leggermente arrugginite, la corteggia con nonchalance. Il loro primo duetto condito in salsa tip-tap, sullo sfondo di una LA da cartolina, è speziato, pretestuosamente litigioso come voleva la tradizione della golden age del cinema musicale che nega ciò che vuole affermare, soprattutto quando si parla di sentimenti. E solo in qualche punto l’omaggio scivola nell’eccesso di deferenza.

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La confezione è inappuntabile, soprattutto grazie alla fotografia di Linus Sandgren che fa il massimo per valorizzare l’effetto pellicola con colori che nuotano baluginanti – caldi e pastellati quando la relazione fra Mia e Seb fiorisce per passare al verde acido o al blu gelido quando l’amore affronta i problemi della vita.

Certo, Katharine Hepburn è lontana come lo sono la Rogers e la Bacall. E Gene Kelly resta distante anni luce, inutile dirlo. Chazelle mette davanti alla macchina da presa una coppia di rodata alchimia sullo schermo che nel ballo se la cava ma non brilla. Belli da soli ma, secondo alcuni, senza fare scintille insieme, Gosling e la Stone riescono ad andare oltre lo standard di un mestiere ben eseguito solo quando il romanzo lascia il posto alle crepe dell’incomprensione e del rimpianto.

L’invito resta quello a sognare, e La La Land ha il coraggio di non rifiutare la nota più amara nel suo sottrarsi – senza dare l’impressione di farlo – alle convenzioni del musical che fu. Perché a volte l’inseguimento di un’ideale può costare parecchio, sul piano squisitamente privato.

Ma allora cosa resta di questo film così ben girato, in cui il (finto?) piano sequenza iniziale strappa l’applauso alla proiezione per la stampa quando Venezia 2016 è ai blocchi di partenza? Acqua fresca per la mente che scorre, come la visione, onesta e innocua. Il risultato non è un pastiche e l’ispirazione risulta sincera. Molti avranno bisogno dei fazzoletti. Macchina perfetta in definitiva, c’è già chi inizia a dirlo, per arrivare in forma alla durissima gara per il prossimo Oscar al miglior film.

Eppure c’è da chiedersi quanto, a luci spente, il film riesca a crescere post-visione per lasciare un segno. O se finisca per scivolare via, fresca e gradevole brezza in una stagione cinematografica che, forse, nel grigiore dell’allarmante attualità contemporanea (la Mostra è ovviamente più blindata del solito) vorrà anche provare a distrarci.



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