Ci sono momenti in cui anche una singola chiocciola in mezzo alla strada rischia di far estinguere un mondo intero.
Lo sa bene Kotaro Uchikoshi, sceneggiatore e director della trilogia di Zero Escape, che non a caso fa pronunciare proprio questa frase a uno dei suoi personaggi nelle primissime battute dell’epopea. Ma l’affermazione del potere dei singoli gesti ha anche un altro significato per Uchikoshi, perché la serie stessa è arrivata a questo terzo capitolo in buona parte grazie alle innumerevoli richieste dei fan e le petizioni online. Nonostante la ricezione più che positiva di Virtue’s Last Reward, le vendite ben sotto alle aspettativa avevano infatti davvero rischiato di stroncare anzitempo l’avventura iniziata su Nintendo DS nell’ormai lontano 2009 con Aksys Games 999:Nine Hours, Nine Persons, Nine Doors.
Eppure il destino sa riservare piacevoli sorprese, e dopo diverse campagne dei fan, pensate per diffondere a costo zero la popolarità della serie e a spingere il publisher a credere ancora nella serie, il miracolo è avvenuto. Zero Time Dilemma è la conclusione di Zero Escape ed è disponibile da poche settimane per Nintendo 3DS, Playstation Vita e, prima volta per la serie, anche su Steam.
Il gioco si discosta dai primi due capitoli, pur rimanendogli fedele nelle premesse; trattasi essenzialmente di un misto tra sezioni di narrazione interattiva, con scelte che modificheranno il racconto stesso e altre di room escape, fughe da stanze apparentemente chiuse. Il grosso cambiamento risiede nel format; laddove i primi due capitoli erano a tutti gli effetti visual novel – romanzi interattivi – in questo caso gli sviluppatori hanno optato per una più moderna e occidentale struttura a telefilm, à la The Walking Dead di Telltale Games, nonché per una narrazione totalmente non lineare divisa in frammenti, che nel gioco hanno di norma la durata di 90 minuti ciascuno.
Dopo un breve prologo in cui ci vengono introdotti i nove protagonisti, divisi in gruppi da tre e rinchiusi loro malgrado e senza conoscerne i motivi, in una struttura situata nel Nevada da un uomo mascherato conosciuto semplicemente come “Zero”, spetterà quindi a noi decidere in quale ordine, e da quale punto di vista, affrontare l’intera vicenda.
Qualunque sia la nostra partenza, presto o tardi ci si presenterà un bivio, un dubbio e una scelta in grado di cambiare radicalmente l’evoluzione della trama, dalla semplice pressione di un pulsante a decisioni più drammatiche ed intense, che porteranno i tre gruppi protagonisti e la trama tutta verso vicoli ciechi (i classici “Game Over”) o finali totalmente inaspettati. Questo metodo di narrazione rende quindi i pezzi di quel grosso puzzle che sono gli avvenimenti del gioco diversi tra loro diversi per ogni giocatore – perlomeno nelle prime decine di ore di gioco.
Il rischio spoiler è quindi visto sotto un’ottica diversa. Prendendo ad esempio due giocatori e verificando il loro progresso a intervalli regolari, ciascuno potrebbe potrebbe potenzialmente ad un punto diverso completamente diverso del complesso intreccio rispetto all’altro. Tutto ciò influisce ovviamente non solo sul percorso di ogni giocatore, ma anche sulle motivazioni che muovono le sue azioni. Con ogni diverso approccio dunque cambiano radicalmente i sospetti, i sospettati e i colpevoli, pur rimanendo immutato il turbinio di horror psicologico, splatter, thriller e fantascienza da cui il giocatore si sentirà turbato, ma anche fatalmente avvinghiato Al punto da non volersene andare prima di conoscere la verità.
Nonostante le modifiche alla modalità di narrazione e allo stile visivo dei personaggi, il gioco rimane prepotentemente Giapponese, con temi che vanno con nonchalance dalla misura di reggiseno di una delle protagoniste a vere e proprie discussioni filosofiche sull’esistenza dei multiversi, della metempsicosi a teorie quali il “problema di Monty Hall”.
Il fascino della serie è sempre stato un misto di ottima atmosfera, personaggi ben caratterizzati, multisfaccettati (e nel caso degli ultimi due giochi ben doppiati, soprattutto optando per l’originale recitazione in giapponese, fortunatamente disponibile anche nella nostra versione Europea) a cui si aggiungono, ovviamente, puzzle intricati, ma mai impossibili. E anche in questa occasione tutto ciò è presente in Zero Time Dilemma, seppure in un pacchetto maggiormente autocontenuto rispetto al passato, forse anche a causa di un budget non esattamente hollywoodiano.
Chiunque riesca però a guardare oltre alla modesta realizzazione grafica e alle animazioni legnose – sempre a patto di avere una buona conoscenza della lingua Inglese, mancando purtroppo l’adattamento in italiano – si ritroverà coinvolto in un’esperienza e una trama superiori a quelle di moltissimi altri videogiochi più conosciuti e blasonati, capaci di sorprendere, irritare, far riflettere e – perché no – anche commuovere.
Se ti piace quello che facciamo, puoi supportarci (o offrirci una birra) comprando musica, giochi, libri e film tramite i link Amazon che trovi negli articoli, senza nessun costo aggiuntivo.
Grazie!