La condizione del viaggio come confronto con l’altro, attraverso il quale poter conoscere profondamente sé stessi. L’essenza di un filone narrativo che ha sempre affascinato i lettori di ogni epoca incontra, nell’opera di Vincenzo Filosa, un’esperienza che unisce elementi biografici, esperienze oniriche e l’esplorazione del sottosuolo di umanità della capitale nipponica. Il protagonista della vicenda, alias l’autore stesso, si reca a Tokyo sulle orme della sua passione per due mangaka, Tsuge Yoshiharu ed il fratello Tadao. Questi autori, poco noti a gran parte del pubblico italiano, sono considerati dei maestri del genere gekika: il termine, la cui denominazione è attribuita a Yoshihiro Tatsumi, indica un manga più maturo e drammatico, secondo una differenza di significato in parte paragonabile alla separazione tra graphic novel e comic-book. Una classificazione in cui sembra facile far rientrare anche il volume di Filosa.
Ad una prima lettura il racconto di formazione di un giovane insicuro, proveniente da una delle regioni meno sviluppate del nostro paese, costretto ad affrontare le proprie insicurezze attraverso il confronto con una realtà fisicamente (e non solo) aliena è il tema predominante dell’intera vicenda. L’insicurezza del protagonista è dovuta a motivazioni ignote ma, dalle poche informazioni che è possibile ricavare, possiamo avanzare l’ipotesi che si tratti di neet italiano – vi ricordiamo che, secondo le statistiche Istat raccolte nel rapporto Noi Italia 2013, «in Italia la quota di Neet è di molto superiore a quella della media europea (22,7 e 15,4 per cento rispettivamente). […] In particolare nel Mezzogiorno, dove la condizione di Neet è di gran lunga prevalente, l’incidenza del fenomeno raggiunge il livello più alto, pari al 31,9 per cento (16,4 per cento nel Centro-nord), ponendo in luce le criticità di accesso all’occupazione per un gran numero di giovani residenti nel meridione». Dati più aggiornati sono disponibili a questo indirizzo.
Ad un secondo sguardo è però possibile notare come Viaggio a Tokyo non tratti esclusivamente della formazione del protagonista. La capitale nipponica diviene la scenografia sulla quale si staglia un catalogo di umanità, delle vite di scarto che popolano la metropoli, le cui piccole vicende si svolgono prevalentemente nelle periferie: piccole fotografie che interrompono le paturnie del protagonista e lo spingono a modificare il suo punto di vista, ancora oggi legato ad un orientalismo anacronistico. Si tratta probabilmente del carattere più autobiografico dell’intera opera, se si considera che l’autore ha impiegato circa tre anni prima di giungere a questo volume. Una gestazione complessa che però non inficia né la coesione dell’opera né la sua realizzazione grafica che riunisce tratti squisitamente nostrani, in particolar modo della produzione indipendente, con caratteristiche manga, soprattutto per quanto concerne rumori, suoni e struttura.
Proprio struttura dell’opera in sé, che segue la lettura orientale da destra verso sinistra, costituisce quel ‘tocco di classe’ che dona fisicità al processo di adattamento vissuto dal protagonista. I rappresenta un’opera affascinante, da esplorare attentamente e che si rivolge ad un pubblico specifico: i nippo-maniaci che affollano le fiere dei fumetti, frequentano i corsi di lingua giapponese e sognano di diventare i nuovi Tezuka (o forse dovremmo dire Toriyama e Oda).
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