Molti anni fa, era il 1988, vidi un bel film di Daniele Luchetti, intitolato Domani Accadrà. Era strutturato ad episodi e ogni segmento era introdotto da una frase. Una di queste mi colpì al tal punto da diventare il mio mantra personale e ancora oggi sono solito usarla spesso: “Se non si va, non si vede”. Così, dopo averne sentito parlare per anni e letto ovunque, sono andato a vedere l’EXPO di persona, per capire esattamente cos’è, com’è stato organizzato e, cosa più importante, se valga la pena consigliare ad altri di andarci. Eppoi, voglio dire, anni fa battemmo Smirne (lo sapete dov’è, no?) per avere l’onore di organizzarlo, qualcosa vorrà pur dire.

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First impact

La prima sensazione che ho avuto, una volta uscito dalla metropolitana e percorso il non brevissimo tragitto che la separa dall’entrata del complesso coi padiglioni è stata quella di non essere a Milano, né in Italia, ma all’estero. Nessun muro imbrattato con tag o scarabocchi, facce mediamente sorridenti, rilassate e non incazzate come quelle che mi tocca incrociare tutte le volte che mi ritrovo costretto ad uscire di casa, personale straordinariamente gentile ed affabile, file composte e ordinate, nessuno che cerchi di passare avanti o che si lamenti rumorosamente per qualcosa. Tante lingue straniere, anche. Se EXPO dev’essere il simbolo dell’italianità o dell’Italia, fallisce miseramente. La sede di EXPO è uno stato enclave, l’oasi in mezzo al deserto. Non l’avrei detto.

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Cosa funziona

Quasi tutto, incredibilmente. Certo, al primo impatto sembra di essere più ad una fiera internazionale dedicata all’architettura che a una sul cibo, tanto meravigliosi, entusiasmanti e magnifici sono i padiglioni di tutte le nazioni presenti. Sotto questo punto di vista siamo a livelli di pura eccellenza. Logistica (NON andate in macchina, però, usate i mezzi) e servizi sono al top, forse c’è qualche carenza nella comunicazione multilingue, ma una volta presa confidenza con le icone (l’infografica è il nuovo Esperanto) si capisce alla perfezione dove sono bagni, mediacenter, punti informativi, etc. La pianta “ a croce” è a prova di Ryoga, ad EXPO è impossibile perdersi o non trovare quello che si cerca.

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Un dato positivo per gli organizzatori e meno per chi ci va è che c’è davvero tanta gente. Ma TANTA. Quindi la visita va programmata per bene. Un po’ di intelligence serve sempre, ma in questo caso è indispensabile. Dimenticatevi di vedere tutto in un giorno, per sviscerare ogni potenzialità di EXPO ne servono almeno due/tre a seconda di quanto siate completisti e quanta abitudine abbiate al passeggio (io ho resistito dieci ore, poi ho ammainato bandiera bianca, ma tornerò!).Ah, c’è proprio una bella atmosfera, giusto mix tra scazzo turistico e impegno sociale, informazione seria e puro intrattenimento.

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I Padiglioni. Forma o sostanza?

Stupendi, meravigliosi, fuori. E dentro?
Beh, avete mai visto Giovani, carini e disoccupati? In una sequenza, un giovanissimo Ben Stiller, che fa il produttore televisivo, spiega ad una giovanissima (e stragnocca) Winona Rider, che gli argomenti più complessi sono indigeribili dal grande pubblico e per somministrarglieli, è necessario sminuzzarglieli in un mare di cazzate. Ecco, visitando alcuni padiglioni m’è tornata in mente quella scena, perchè ho notato una netta contrapposizione tra forma e contenuto. Intendiamoci: chiunque abbia interesse verso il cibo “tout court”, sia un fan di Silver Spoon, sia laurando in agraria o voglia fare l’agricoltore, troverà a EXPO ogni risposta alle sue domande. La sfida di rendere il tema “cibo” interessante anche se non lo si consuma, è vinta. Mi hanno lasciato perplesso però, alcune modalità di somministrazione. Insomma certi padiglioni, al loro interno, spiegano il cibo utilizzando linguaggi e metriche eccessivamente “spettacolari” (penso alla Spagna o all’Angola, che sembrano succursali dell’Hollywood o del Byblos, o allo stesso padiglione cinese che fuori è ipertradizionale e dentro pare una galleria d’arte moderna). Pur restando piacevolmente impressionato da tutti i padiglioni, solo in alcuni (la maggioranza di quelli visti, comunque) ho percepito il Genius Loci, l’essenza e lo spirito del Paese rappresentato (quasi tutti quelli arabi, orientali e dell’est europa, meno quelli “occidentali” o “occidentalizzati) ed una reale volontà di spiegare le dinamiche sottese alla nutrizione e al cibo.

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Ok, ma dentro ai padiglioni cosa trovo?

I padiglioni, a farla semplice, si possono dividere in tre categorie: superlusso, belli e normali. Nei primi c’è tutto: storia del paese, arte locale, installazioni, rappresentazioni di vario genere, ristorante con cibi tipici, è un bignami di come E’ quel Paese. Quelli belli sono identici ai primi ma con meno “features”, quelli normali (pochi) hanno solo informazioni generali, veicolate tramite megaschermi e poco più, ma sono davvero pochissimi. Solo uno l’ho trovato un po’ al di sotto degli standard (e me lo tengo per me, ovviamente). Poi ci sono i cluster tematici dedicati a generi alimentari particolari (caffè, cacao, legumi…) che riuniscono più nazioni che non hanno un proprio padiglione.

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Cosa NON funziona.

Gli elementi negativi di EXPO (per me) sono i prezzi del cibo (e, capirete, non è cosa da poco) e la sfacciataggine ostentata dagli sponsor della manifestazione, sostanzialmente onnipresenti. Per quanto concerne il primo problema, c’è poco da dire: non pretendo che il cibo venga distribuito gratis nei ristoranti e nei padiglioni (che effettivamente hanno un’offerta strepitosa), ma i prezzi “da ristorante” cozzano con lo spirito stesso dell’iniziativa e risultano incomprensibili, a meno che lo scopo degli organizzatori non sia ricordarci che, appunto, al mondo chi ha i soldi mangia e non li ha, no. Ma questo lo sapevamo già. Quanto alla pervasività degli sponsor, mi rendo perfettamente conto che pecunia non olet, né è mia intenzione criticare a prescindere Eataly, Ferrero, Illy, Technogym, etc.etc, però ho trovato, diciamo, poco coerente col contesto, che a fronte di tanti padiglioni “sociali” venissero sbattuti in faccia esercizi dichiaratamente commerciali. Immagino che ognuno al riguardo abbia una soglia di tolleranza diversa, infatti sono abbastanza sicuro che di questo secondo “problema” non freghi nulla a nessuno, visto che le code davanti agli stand degli sponsor erano persin più lunghe di quelle per i padiglioni…

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Concludendo. Dessert, caffè e ammazzacaffè.

Vale la pena di andarci? Assolutamente sì. E più di una volta, direi. Il mio consiglio è effettuare una prima visita per vedere tutto da fuori e poi tornare, puntando direttamente verso i padiglioni preferiti, in modo da ridurre tempi morti e attese (che ci sono pure nei giorni feriali, non oso pensare durante i weekend). Ci sono molti pro e pochi contro, ma per come la vedo io EXPO è un successo su quasi tutta la linea (e nutrivo forti dubbi al riguardo, lo ammetto). La manifestazione va vista come un’opportunità: è un volano che offre spunti di approfondimento solo a chi li saprà cogliere (e infatti in questi giorni si sente dire spesso e giustamente che “Gli italiani sono un popolo allergico all’approfondimento”). Certo, è anche contraddittoria, ma le cose del mondo hanno sempre innumerevoli sfumature (ecco, possibilmente non 50…).

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Ma i lavori non erano stati gestiti a cazzo di cane? Beh sì, dico hai sette anni a disposizione e arrivi all’inaugurazione con i cantieri ancora aperti e la monnezza nascosta sotto al tappeto (ora però è tutto a posto, almeno per quel che ho potuto vedere). Questo è un dato inequivocabile, così come pure ho il forte sospetto che in molti c’abbiano mangiato sopra fino all’inverosimile; che ci sono pochissime speranze che finito lo show l’area venga riconvertita in qualcosa di utile; che decine di migliaia di “volontari” si potessero pagare visto che secondo me i soldi c’erano.

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EXPO risolverà il problema della fame nel mondo? NO. In compenso, una manifestazione di questo genere può realmente spingere molti giovani (e perchè no, meno giovani che vogliono cambiare vita) a scoprire una nuova dimensione lavorativa, cosa buona e giusta, specie in una città che trabocca di avvocati, fighette della comunicazione e fashion blogger. La quantità di dati e informazioni a disposizione è spaventosa, tutto sta a vedere quante persone la sapranno filtrare e utilizzare, trasformandola in attività concrete.

E dicci, dov’è che sta Smirne? In Turchia, ma probabilmente l’avevate già googlato. Non so come l’avrebbero organizzato loro, ma alla fine questo EXPO di Milano è venuto fuori molto, molto meglio di quanto osassi sperare.



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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