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Hugo & Nebula Awards : cronaca pregiudiziale dai margini della galassia

Ti avverto: se ti dicessi che sono una patita di fantascienza, caro lettore, partirei già col piede sbagliato, rischiando di perderti in queste primissime righe. La triste ironia delle sparute sacche di chi ancora si professa amante di questo genere è che viviamo in un mondo pervaso di scienza la cui declinazione fantastica ma plausibile permea tutti i contesti culturali, eppure la maggior parte delle persone si professa scettica e/o disgustata rispetto a quel mare magnum di prodotti raggruppato dall’acronimo SFF (science fiction and fantasy), inconsapevole di navigarci dentro quotidianamente.

Facciamo un patto: io cercherò il più possibile di parlarti delle novità letterarie più fighe del 2014 senza pronunciare quel termine che tanto ti spaventa e tu in cambio non mi risponderai con una delle variabili della frase “No guarda, a me proprio non piace Star Wars e quelle robe con le astronavi e gli alieni”. Credimi, sarà un win-win da cui usciremo entrambi soddisfatti.

Se invece cercavi veramente informazioni sulle nomination di Hugo e Nebula, beh, sei già irrecuperabile per definizione, perciò benvenuto in questo veloce riassunto pregiudiziale sui finalisti ai due premi.

HOW TO HUGO (AND NEBULA)

Immaginatevi di essere un appassionato di un genere letterario in lenta ripresa a livello internazionale, ma in stato catatonico in Italia, dove le novità editoriali principali vengono tradotte con un ritardo tale da indurre a credere che provengano da altre galassie. Che fare, cosa leggere, come orientarsi? Semplice: si chiede consiglio ai due numi tutelati del genere, i due premi letterari conosciuti come Hugo Awards e Nebula Awards.

In maniera molto approssimativa, si potrebbero descrivere così: lo Hugo – noto per il suo premio a forma di razzo dalle vaghe reminiscenze falliche – viene votato da una platea di appassionati a fronte del versamento di un quota annuale ed è espressione più popolare del gradimento dei lettori mentre il Nebula, con un regolamento più stringente e una giuria più selezionata, tende a dare maggior risalto alla letterarietà delle opere. Entrambi i premi coprono numerose categorie, ma il più importante riconoscimento rimane quello per miglior romanzo dell’anno. Altra caratteristica che accomuna i due premi è il clima di feroce polemica che ogni anno si genera attorno ai finalisti.

Arrivare nella rosa dei finalisti dello Hugo e del Nebula non è sempre sinonimo di qualità, ma è un buon metro di popolarità ed è anche l’unica speranza concreta per approdare, con qualche anno di ritardo, sulle coste dello Stivale. Ecco quali libri avrete la concreta possibilità di incontrare nelle vostre scorribande in libreria e quali vi conviene custodire gelosamente nel vostro lettore di ebook, in attesa che scatti un adattamento televisivo/cinematografico che vi consenta con agilità di fare i superiori.

NEBULA

Dopo anni di rose di candidati ora maschiliste, ora inconsistenti, ora governate dal caso, zitto zitto il Nebula sta riacquistando il suo prestigio ai danni del sempre più contestato Hugo. Il sestetto di quest’anno non è certo un campione di coraggio e originalità, ma restituisce buona parte dei titoli più chiacchierati a cui vale la pena dare un’occhiata.

Annihilation di Jeff VanderMeer

Poche righe più su spiegavo come arrivare per tempo permette poi di darsi quella certa aria tra il fine estimatore e il profeta vate del genere. Ecco, su Players l’intera trilogia new weird di VanderMeer è già stata approfondita prima dell’arrivo di, nell’ordine:
1- l’annuncio di una trilogia cinematografica che avrà come regista Alex Garland (quello che sta scrivendo la sceneggiatura del film di Halo)
2- la pubblicazione da parte di Einaudi del primo volume con un’ottima traduzione, un lancio sui social da far invidia all’ultimo Ellroy e un’edizione con copertine stilosissime realizzate dell’illustratore LRNZ
3-Il passaggio di VanderMeer da vincitore annunciato a favorito in difficoltà, azzoppato dalla mancata nomination allo Hugo.
La scelta di nominare solo il primo volume della trilogia a fronte della possibilità concessa dal regolamento di candidare un’opera in più volumi sembra però tradire la volontà di avvantaggiare questo incredibile romanzo, così letterariamente ineccepibile e narrativamente conturbante da essersi guadagnato persino l’attenzione della pigra e pregiudiziale stampa generalista italiana.
Il più semplice da recuperare di questa rosa e, a parer mio, anche il migliore. Nel caso il film azzecchi toni e cast, potrebbe essere la prossima big thing cinematografica, perciò pensateci per tempo, arrivate preparati.

Ancillary Sword di Ann Leckie

Forse a voi il nome di questa quarantasettenne del Missouri non dirà nulla, ma il suo romanzo d’esordio l’anno scorso è stato un cataclisma di proporzioni mai viste. In una nicchia in cui arrivare al migliaio di copie equivale all’essere una testa di serie, da quasi sconosciuta lei ne ha vendute trentamila con il primo capitolo della trilogia Imperial Radch. Collateralmente ha vinto anche tutto il vincibile per un’opera di genere: Hugo e Nebula (e la doppietta è sinonimo di rispetto imperituro), ma anche Arthur C. Clarke Award, BSFA Award, Locus Award e Kitschies Golden Tentacle.
Il secondo capitolo della trilogia è stato accolto da pareri quasi altrettanto positivi, ma soprattutto è riuscito di nuovo a farsi nominare in entrambe le rose di finalisti. Sembrava che dopo il ciclone dell’anno scorso la Leckie dovesse accontentarsi di presenziare e invece potrebbe essere un cattivo cliente per VanderMeer ai Nebula, senza contare che pare di nuovo favorita agli Hugo.
Non male davvero per una che si cimenta in uno dei generi meno amati in questi anni, la space opera di stampo classico (più o meno il filone di Star Wars), ma con richiami all’impero romano, un’astronave senziente come narratrice e una razza aliena tea addicted in cui è impossibile distinguere il genere dei protagonisti.
Aneddoto: in Italia il primo volume è pubblicato con il titolo originale perché la qui presente rompicoglioni e altri lettori hanno implorato Fanucci per evitare soluzioni alternative molto spoilerose. Siamo stati ripagati con un’edizione la cui comprensione è seriamente minacciata da una traduzione criminale. È la fantascienza, bellezza.

Coming Home di Jack McDevitt

Avete presente lo sguardo di stizza e sufficienza che avevate quando avete letto la parola fantascienza? Ecco, io ho più o meno la stessa reazione ogni anno, quando finisce puntualmente tra i finalisti un titolo come questo. Un romanzo senza buzz, praticamente sconosciuto al di fuori degli estimatori che hanno seguito e sostenuto Jack McDevitt fino al settimo (set-ti-mo) volume di questa serie. Così a naso, lo classificherei come un’esplorazione spaziale densa di misteri e di momenti d’azione: il protagonista Garnett Baylee insegue misteriosi e pericolosi artefatti archeospaziali (non fatemi domande) ma non riesce a recuperarne nemmeno uno (che pippa!) almeno finché non se ne ritrova un’esemplare in casa (ops).
Il mio appeal verso questa tipologia di titoli equivale alle possibilità di vederlo tradotto in Italia: zero assoluto.

The Goblin Emperor di Katherine Addison

Le donne nominate sono in netta minoranza, sì, ma sono state anche le uniche in grado di strappare la nomination in entrambe le premiazioni. In quanto donna,  Addison ha tutta la mia solidarietà: a fronte di un buon riscontro di critica e di un gran seguito di pubblico è riuscita ad arrivare a questo importante risultato , ma il riconoscimento dovutole è stato spazzato via dal dramma occorso agli Hugo (suspance!). Pur non esente da qualche pecca , il suo intrigo di corte in cui un giovane, poco attraente e poco propenso a governare goblin si ritrova tra le mani le redini di un impero e alle spalle cospiratori pronti a toglierlo di mezzo mi incuriosisce da tempo e una copia in lingua originale è in dirittura d’arrivo presso i miei alloggi.
Sul mercato italiano secondo me basterà avere pazienza e aspettare che qualche piccola casa editrice batta un colpo.

The Three-body Problem by Cixin Liu

Fossimo sulla stampa generalista, esordirei con un “la Cina è vicina”, mentre qui posso permettervi di dirvi la sordida verità: negli Stati Uniti è così raro leggere un libro in traduzione che l’arrivo di un best seller cinese tradotto da un’autore sinoamericano ha tenuto banco in quanto notizia per mesi.
Primo e più amato volume di una serie che ha reso Cixin Liu uno degli esponenti cinesi più amati del genere SFF, The Three-body Problem è la versione più tecnica, “gialla” e molto meno nerd nostalgia di Ready Player One.
A voler essere maliziosi e malfidenti si potrebbe sostenere che il nome di Ken Liu (già stimatissimo scrittore di racconti brevi che esordisce quest’anno col suo primo romanzo) in copertina in veste di traduttore abbia dato una mano alle vendite, ma ci limiteremo ad applaudire educatamente l’unico nominato di etnia non caucasica.
Sulle possibilità di vedere qui da noi il titolo non saprei: sicuramente non a breve, ma ci sono eguali possibilità di arrivare o rimanere per sempre nell’oblio.
Fun fact: un racconto breve di Cixin Lui è stato tradotto in Italia in un’antologia di storie brevi cinesi di genere pubblicata da Urania nel volume 1564: uno dei titoli Urania più odiati, vituperati e spernacchiati di sempre.

Trial By Fire di Charles E. Gannon

Spero che la trilogia “Sostantivo by Fire” di Charles E. Gannon si concluda come previsto l’anno prossimo, così da poter coprire annualmente la tornata di nominati senza che le sue pacchianissime copertine e i suoi font tamarri mi rovinino la qualità estetica del recap. Purtroppo il mancato feeling tra me e Gannon non si limita a mere divergenze estetiche: se puntualmente finisce nominato al Nebula e/o allo Hugo, è perché è un ricorrente sad puppy, di cui parleremo a breve. Sulla popolarità del romanzo in sé è presto detto: non ha all’attivo recensioni sui siti di riferimento per gli appassionati, ha 145 votazioni su GoodReads a fronte delle 508 di Coming Home, delle 3683 di The Goblin Emperor, delle 5613 di Ancillary Sword e delle 20571 di Annihilation.
Come ci è arrivato Gannon con un tanto esiguo numero di lettori alla nomination? Beh, è arrivato il momento di parlare degli Hugo.

HUGO AND SAD PUPPIES

Se pensate che le piccole dimensioni del bacino di appassionati di SFF riducano la quantità di polemica e melodramma, state sottovalutando l’intensità dei sentimenti che queste nomination generano nell’appassionato.
Quanto accaduto quest’anno meriterebbe un post a sé stante, ma vi basti sapere questo: dopo anni di scarsa rappresentazione del crescente numero di autori di sesso femminile, di etnia non caucasica e interessati alle tematiche LGBT, nell’ultimo quinquennio è aumentato vertiginosamente il numero di vincitori appartenenti alle suddette categorie, grazie alla crescente popolarità del loro scritti e a campagne di sostegno della loro candidatura.

Lo Hugo è sempre stato un premio popolare e politico, in cui le regole permettono agli autori o a gruppi organizzati di fan di raccomandare titoli o sostenere campagne affinché i loro beniamini ottengano la nomination. Il meccanismo è andato a degenerare quando questa serie di vittorie ha irritato la corrente autoproclamatasi “destrorsa” del fandom, in netta minoranza ma molto agguerrita. Autori, editor e appassionati come Vox Day, Brad Torgersen e Larry Correia, tristemente noti per le loro posizioni misogine, omofobiche, razziste, hanno dichiarato guerra alla corrente dittatoriale “di sinistra”.
Nacque così alcuni anni fa la prima campagna a sostegno dei “Sad Puppies”: Torgersen e Correia hanno stilato un elenco di autori (curiosamente quasi tutti maschi, caucasici, supposti eterosessuali) esortando i loro sostenitori a votarli, perché la malvagia e dittatoriale “ala sinistra” li avrebbe altrimenti esclusi dalla corsa ai premi, rendendo “questi cuccioli” molto tristi (sic).
L’iniziativa non è di per sé vietata come orgogliosamente rivendicato dagli ideatori, che però la accomunano con grande spregiudicatezza a post di sostegno e segnalazione come quelli che annualmente pubblicati da autori molto amati e seguiti come John Scalzi. In realtà, come intuibile, le due iniziative sono piuttosto distanti nelle intenzioni e nei contenuti. Gli stessi autori che negli scorsi anni avevano pubblicato endorsement a favore dei loro beniamini non hanno mancato di commentare l’accaduto: ecco a questo proposito l’intervento in merito di John Scalzi e di George R.R.Martin.

Il punto è che i Sad Puppies non vengono sostenuti in funzione della qualità dei loro lavori, bensì per mere finalità politiche con l’intento di saturare le categorie, soprattutto quelle minori in cui il numero di votati è esiguo e quindi far prevalere queste nomination è estremamente semplice, a scapito di candidati appartenenti a minoranze sgradite. L’intera campagna non genera alcun dibattito sui titoli in questione, non ci sono blogger o autori che recensiscono entusiasti questi libri, bensì si punta a escludere i titoli più popolari delle categorie loro sgradite, negando ai giovani autori una vetrina invidiabile come quella degli Hugo, quasi sempre necessaria per diventare professionisti in grado di vivere della propria scrittura.
Se ciò non fosse sufficiente a provare la malafede di quest’iniziativa, aggiungiamoci il fatto che quest’anno sono stati chiamati a dar manforte i membri di varie correnti del GamerGate, certamente non noti per la loro passione per la letteratura SFF, con l’intento di puntare a sbancare nella categoria principe: quella di miglior romanzo.

Purtroppo i Sad Puppies ce l’hanno fatta. Non mi riferisco agli autori nominati in sé, il cui coinvolgimento non è ancora chiaro se sia stato più o meno volontario e in buona fede (anche se alcuni hanno chiesto e ottenuto di essere tolti dall’elenco appena informati dell’iniziativa). Tra i tre romanzi incriminati segnalati come cuccioli bisognosi d’aiuto, almeno uno ha avuto anche un discreto responso critico.
Tuttavia giungere con questo metodo alla nomination, voluta più per escludere altri che per l’amore dei votanti nei riguardi del libro/fanzine/podcast, non può che lasciare l’amaro in bocca. Perciò ho deciso di non parlarvi dei tre libri cucciolosi nominati nella categoria principe, in attesa di vedere chi prevarrà, sperando sia una delle due autrici in gara o il No Award, ovvero la possibilità degli aventi diritto di votare come opzione la non assegnazione del premio. È già successo in passato nelle categorie minori e probabilmente si ripeterà quest’anno. Al loro posto, vi segnalo due grandi esclusi, che guarda caso stanno facendo già capolino in altri premi di genere e che avrete ben più speranze di leggere in italiano dei tre libri cucciolosi.

Station Eleven di Emily St. John Mandel

Il grande assente agli Hugo è anche uno dei titoli più venduti tra quelli sin qui citati, vuoi perché il suo mondo gentilmente distopico non è troppo respingente tra i lettori non strettamente amanti del genere, vuoi perché agli sgoccioli della finestra utile per votare ha ricevuto un endorsement pazzesco da George R.R.Martin. Questa entusiasta raccomandazione da parte dell’autore fantasy più noto a livello mondiale (non me ne voglia Neil Gaiman, ne riparleremo quando e se mai vedrà la luce la serie tratta da American Gods) non l’ha portato agli Hugo, ma l’ha fatto balzare nella classifica delle vendite di Amazon. Zitto zitto poi il libro della Mandel ha anche ottenuto una nomination di peso agli Arthur C.Clarke Awards ed entusiaste recensioni anche tra i più importanti influencer anglosassoni, persino tra quanti non si occupano di letteratura SFF.
Voci di corridoio sostengono che in Italia alcuni grandi editori abbiano già tentato di aggiudicarsi i diritti di questo racconto di come un teatro itinerante cerchi di far rivivere Shakespeare tra i pochi sopravvissuti a un’apocalittico virus influenzale. Alcuni lavori precedenti dell’autrice sono stati pubblicati da Leggereditore, ma l’impressione è che il passaggio a una casa editrice più nota sia avvenuto e che sia solo questione di un annuncio ufficiale.

The Mirror Empire di Kameron Hurley

Se la distopia gentile di Mandel vi fa storcere il naso, rivolgetevi al primo volume di una saga che ha permesso a Kameron Hurley il salto di qualità da autrice promettente a scrittrice affidabile che potrebbe sfornarci il capolavoro del suo sottogenere, il grimdark fantasy. A volermi prendere in contropiede e chiedermi un aggettivo per la Hurley senza lasciarmi il tempo per mediare, la definirei cazzutissima. Non per niente è la signora del grimdark, un filone fantasy che indulge nelle svolte più violente e macabre nei world building e tende ad essere fieramente anti-tolkeniano.
Talvolta si tratta di violenza gratuita, talvolta siamo di fronte a un mondo nella cui inaudita violenza si rispecchia parte della nostra realtà, e questo è fortunatamente il caso della Hurley, già nominata allo Hugo in passato due volte. The Mirror Empire è il classico tomo con mappa annessa che pullula di personaggi e colpi di scena: una realtà parallela decide d’invadere l’universo vicino e solo parzialmente differente dal proprio (fan di Fringe a rapporto). Il punto è che più o meno tutti i protagonisti hanno delle sfighe micidiali, che siano invasi o invasori. L’edizione economica sta già riposando sulla mia mensola in attesa di una finestra temporale da dedicare alle sue 500 pagine abbondanti. Nel caso ci fosse qualche editore italiano all’ascolto, sappia che lo sto guardando con occhi tra l’eloquente e il supplichevole.



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