Il fumetto italiano sta vivendo un momento di grande vivacità e gli ultimi anni hanno mostrato un’inaspettata forza creativa ed artistica, nonché un discreto interesse da parte del pubblico. Il merito di un tale miglioramento va attribuito soprattutto agli autori che, nel corso degli anni ’90 e soprattutto nei primi anni 2000, con le loro opere hanno contribuito a dei risultati e ad una maturazione che credo sia sotto gli occhi di tutti. Si tratta di autori che hanno ostinatamente e fermamente creduto nel medium fumettistico in un paese che, malgrado i numerosi exploit del passato, continua(va?) a sottovalutarne la dirompente forza narrativa.
In questo panorama che ho appena descritto un posto di rilievo non può non essere occupato da Roberto Recchioni, un autore che potrebbe esser facilmente descritto come un personaggio (come non citare la graphic novel Asso
Un nerd a tutto tondo che ha osservato con estrema attenzione ed interesse ciò che definisce, in una recente intervista rilasciata a La Repubblica, «cultura nerd» – di cui ritiene che Dylan Dog ed il lavoro di Sclavi siano stati a tutti gli effetti dei prodromi. La passione e la sincera convinzione che il fumetto sia un mezzo di comunicazione, o genericamente un linguaggio, ed un’opera contenente un significato letterario devono essere costantemente ricordati per comprendere la portata e l’approccio con cui il nuovo curatore ha affrontato l’opera di “ritorno alle origini” di Dylan Dog.
Ci è riuscito? Impossibile dare un giudizio definitivo dopo la lettura di un solo albo, sceneggiato dallo stesso Recchioni, splendidamente disegnato da Nicola Mari ed eccezionalmente colorato da Lorenzo De Felici. Spazio profondo vorrebbe essere una specie di rinascita? O è un requiem? Angelo Stano solleva questi dubbi sin dalla copertina e questi ci accompagneranno lungo lo svolgersi dell’intera vicenda, affiancati da echi più o meno lontani di testi noti a qualsiasi appassionato – dagli espliciti riferimenti ad Alien (R. Scott, 1979), 2001 – Odissea nello Spazio (S. Kubrick, 1968) e Solaris (S. Lem, 1961, e l’adattamento cinematografico girato da A. Tarkovskij, 1972) fino ai meno evidenti, forse frutto di suggestioni personali, Moon (D. Jones, 2009) e Dead Space (Visceral Games/EA Redwood Shores, 2008; ma forse l’ispirazione è di carattere cinematografico, considerando come il gioco si ispirasse a Punto di non ritorno di P. W. S. Anderson). Questo è il primo piano di lettura che possiamo dare all’opera su cui andrebbero innestati gli altri, in particolare quello meta-fumettistico, ma sarebbe in tutta onestà un lavoro poco interessante.
Piuttosto è più importante porre la nostra attenzione nella lettura e abbandonarsi agli spazi claustrofobici dell’astronave UK-Thatcher, velivolo alla deriva nel cosmo a causa dell’infestazione di veri e propri spettri spaziali, attratti dai sentimenti negativi di chi si trovava a bordo. La vicenda si sviluppa perfettamente nelle canoniche 98 tavole ed il suo ritmo incessante, la tensione che si sviluppa lentamente e costantemente, fino al sorprendentemente classico (in chiave dylandoghiana N.d.R.) finale, non lasciano un attimo di respiro: conquistata in pochi secondi, l’attenzione e la curiosità del lettore lo porterà a consumare rapidamente l’intera vicenda, lasciando ad una seconda lettura l’annotazione di particolari, easter egg ed altre finezze che mostrano l’attenta pianificazione di un numero che, al di là dei risultati che conseguirà il nuovo curatore, rappresenta un manifesto. Di cosa? Dell’ingresso per l’inferno che si annida nelle profondità spaziali. Nella febbrile produzione letteraria di Recchioni. Nelle coscienze dei lettori. In Dylan Dog stesso.
A differenza dei lettori e degli autori, Dylan però può solo tentare di opporsi al destino di eterna reiterazione a cui sembra sia condannato: mentre a noi basta voltare pagina, riporre quell’albo per essere “al sicuro” – anche se volutamente immemori della consapevolezza del prezzo di questa normalità, un tema che il nuovo curatore ha promesso di trattare associandolo alle nuove tecnologie – il nostro eroe non può salvarsi neppure lanciandosi al di là dell’orizzonte degli eventi, nella speranza che vi sia una fine. Oltre di questo non lo attende che un nuovo inferno, l’inferno della consapevolezza e dell’angoscia, sentimento descritto con particolare efficacia da Martin Heidegger, che lo disgiungeva dalla paura poiché «nell’angoscia, noi diciamo, uno è spaesato. […] Non possiamo dire dinanzi a che cosa uno è spaesato, perché lo è nell’insieme. […] Questo allontanarsi dell’ente nella sua totalità, che nell’angoscia ci assedia, ci opprime. Non rimane nessun sostegno. Nel dileguarsi dell’ente, rimane soltanto e ci soprassale questo nessuno. L’angoscia rivela il niente. […] ciò di cui e per cui ci angosciavamo non era “propriamente” – niente. In effetti il niente stesso, in quanto tale, era presente». Un sentimento che sembrava perduto e che ora sembra finalmente ritrovato. Bentornato Ol’ boy.
SCHEDA TECNICA
Titolo: Spazio Profondo (Dylan Dog 337)
Testi: Roberto Recchioni
Disegni: Nicola Mari
Copertina: Angelo Stano
Colori: Lorenzo De felici
Editore: Sergio Bonelli Editore
Pagine: 114
Prezzo: 3,20€
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