«Il gioco in sostanza è un picchiaduro… e vorrei ben vedere, con un personaggio come Kenshiro cosa volevi fare? Un flipper? Un gioco di guida? Uno shoot ‘em up spaziale? Un gioco manageriale dove si comprano e si vendono i muscoli così a furia di trafficare vi trovate con sedici glutei e un bicipite solo? Ma fatemi “el piasèr”…».
Con queste parole, nel giugno del 1990, si apriva l’entusiastica recensione di Hokuto no Ken 2 per Mega Drive, apparsa sulle pagine del mensile italiano di videogiochi The Games Machine. Nonostante i toni scanzonati, caratteristici della testata e, più in generale, del giornalismo videoludico dell’epoca, quella frase nasconde una verità semplice ma inconfutabile, ovvero che, oggi come allora, è assurdo creare un videogioco su Ken il Guerriero che non sia un picchiaduro. Un picchiaduro a scorrimento, per l’esattezza, poiché persino i vari tentativi di adeguare il personaggio creato da Bronson e Hara alle dinamiche del beat ‘em up a incontri one on one si sono rivelati poco efficaci, indipendentemente dall’effettiva qualità dei prodotti, che, invero, è oscillata dalla pessima (tipo quella dei due giochi per Super Nintendo risalenti agli anni Novanta) alla molto buona (come nel caso del coin-op griffato Arc System Works del 2005).
Il fatto è che quello di Kenshiro è il mito un uomo semplice (come si diceva su Players #01) e abbisogna di strutture ludiche altrettanto immediate per esprimere al meglio il suo potenziale iconico. In fin dei conti, nulla riesce a calare l’utente nei panni dell’Uomo dalle Sette Stelle meglio di un picchiaduro dal gameplay essenziale, dove il cuore dell’azione sta tutto nel massacrare orde di predoni postatomici a suon di scariche di cento pugni. Questo Koei l’ha capito e, forte dei discreti consensi ottenuti con Ken’s Rage (recensito sempre su Players #01), ci riprova con questo seguito, pubblicato in corrispondenza del trentesimo anniversario del manga.
Ken’s Rage 2 sacrifica le pallide velleità di gioco d’azione tout court mostrate dal prequel per favorire una trasposizione più agile e, allo stesso tempo, maggiormente accurata dell’opera cartacea. Il gameplay è stato liberato dalle digressioni esplorative e dalle sfumature platform (persino il salto, come azione, non è più eseguibile), facendo sì che la modalità principale si componga di trentasei livelli dallo sviluppo assolutamente lineare, i quali ripercorrono più in dettaglio l’odissea di Ken, coprendo anche quegli archi narrativi che non erano stati inseriti nel precedente episodio.
Chi ha già giocato al primo Ken’s Rage può stare tranquillo, dato che pure la prima parte della storia vanta numerose aggiunte, come le sottotrame relative al Colonnello e ai suoi Berretti Verdi impazziti o al predone Jackal, fiancheggiato dal gigante sanguinario noto come il Figlio del Diavolo. Gli eventi già trattati nel prequel, inoltre, vengono ora rivissuti in maniera assai scorrevole e con una maggiore attenzione verso i personaggi del manga (sono stati inseriti, per esempio, Raiga e Fuuga, i due immensi guardiani della prigione di Cassandra).
Purtroppo, tutta questa cura filologica va progressivamente affievolendosi con il procedere dell’avventura, facendo emergere sempre più spesso situazioni adattate in maniera alquanto frettolosa. Per esempio, il combattimento contro l’emulo di Hulk Hogan, Basque, viene risolto utilizzando il modello poligonale di uno degli avversari comuni, mentre l’incontro con il pirata Akashachi è presente solo sotto forma di cut-scene. In entrambi i casi, si tratta di eventi che erano stati proposti in una chiave videoludica più soddisfacente persino nel gioco per Mega Drive citato all’inizio e ciò non fa certo onore a Koei. Se a questo si aggiunge il fatto che buona parte della grafica di Ken’s Rage 2 è stata presa di peso dal prequel (già non eccellente sotto questo punto di vista), si evince come gli sviluppatori non si siano impegnati più di tanto per compiacere i fan.
Ciononostante, il prodotto riesce a sedurre gli appassionati di Kenshiro attraverso alcune scelte interessanti a livello di gameplay, capaci di consegnare nelle mani del giocatore tutte le bizzarre e parossistiche tecniche marziali che dominano le pagine del manga. La generale semplificazione della struttura di gioco viene compensata, infatti, da una maggiore attenzione verso il combat system.
La portata degli attacchi è stata aumentata e questo, insieme all’inedita possibilità di schivare i colpi dei nemici, rende gli scontri più spettacolari (si è in grado d’inanellare in scioltezza combo da oltre cinquecento colpi) e leggermente più tecnici, soprattutto nel caso dei duelli con i guardiani di fine livello. Inoltre, le devastanti mosse speciali sono ora presenti in numero maggiore e a queste si affiancano delle azioni particolari, diverse per ciascun personaggio. Ciò dona un certa varietà ai combattimenti, considerato che nel corso dell’avventura si potranno impersonare contestualmente pure Rey, Shew, Fudoh, Falco e tutti gli altri storici compagni di battaglie di Ken. Anche il sistema di potenziamento è più agile rispetto al primo episodio, basandosi su delle pergamene da raccogliere lungo i livelli e capaci d’incrementare diversamente gli attributi principali del lottatore (come forza, difesa, ecc.).
Le modifiche apportate al sistema di combattimento si manifestano a tutto tondo nella Modalità Sogno, dove si dovrà affrontare un set di missioni diverso per ognuno degli oltre venti personaggi sbloccati durante l’avventura principale. Tra questi si annoverano anche i “villain”, come Shin, Judas, Souther, Jagi o il luciferino Kayoh. Oltre a fornire un’occasione per sperimentare a fondo le differenze tra i vari guerrieri, la Modalità Sogno colma anche alcune lacune dell’avventura principale, mandando in scena, per esempio, la lotta per la successione dell’Hokuto Shinken o gli scontri con Shuren delle Fiamme e Huey del Vento. Il tutto è condito da opzioni per il multiplayer cooperativo e competitivo, che infondono brio alle sfide, lasciando sfumare in sottofondo la monotonia della mattanza di nemici gestiti dalla CPU.
In definitiva, Ken’s Rage 2 è un prodotto apprezzabile dai soli feticisti di Hokuto no Ken, che avrebbe potuto essere più generoso e accurato nel fanservice, ma che resta comunque un’efficace interpretazione videoludica dell’opera originale. Un gioco capace di sbandierare spudoratamente un gameplay semplice e vintage, così congeniale al soggetto celebrato da risultare finanche attraente, come se fossimo tornati tutti agli inizi degli anni Novanta… o meglio a quel fantomatico “199X” in cui «l’aria s’incendiò e poi silenzio»!
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