Edizioni e/o ci ha preso gusto. Dopo il primo passo nel territorio del fantastico compiuto con la pubblicazione di I fidanzati dell’inverno a maggio di quest’anno, la casa editrice romana è di recente tornata a frequentare la narrativa di genere. Non con il secondo capitolo della saga fantasy di Christelle Dabos, previsto per gennaio 2019, ma con il successo editoriale di Matt Haig, nonché caso editoriale in Gran Bretagna, Come fermare il tempo.
Benché in questa occasione la natura a cavallo tra fantasy e sci-fi del romanzo sia molto meno sbandierata, al di là di un piccolo accenno nell’aletta della cover, l’appartenenza del romanzo alla sfera del fantastico è indiscutibile già da pagina 3, quando il suo protagonista ammette senza troppi giri di parole di essere vecchio, molto più vecchio dovrebbe. Per la precisione Tom Hazard è nato nel 1581 in Francia, il che lo rende oggi un essere umano di 437 anni: longevo, eppure non il più longevo sul pianeta.
A guardarlo oggi, Tom sembra una persona come tante. L’aspetto è quello di un uomo sulla quarantina, i modi sono gentili, insegna storia in una scuola di Londra frequentata anche da qualche ragazzo difficile, è single ed ha un cane che gli fa compagnia e lo spinge ad uscire di casa. Questa però è la sua vita temporanea: una parentesi di 8 atti ricevuta in dono da Hendrich, il leader della Società degli Albatross. Il principio è semplice: un uomo affetto da anageria, che invecchia cioè quindici volte più lentamente del normale, dopo un po’ dà nell’occhio. Quindi, in cambio di qualche piccolo favore eticamente discutibile, la Società procura ai suoi membri una nuova identità periodica, con tutti gli agi del caso.
Sulla carta potrebbe sembrare un ottimo accordo, ma per Tom è solo l’ultima possibilità di continuare la ricerca di sua figlia Marion, nata qualche secolo prima e affetta dalla sua stessa “condizione”, nonché ultimo appiglio alla vita rimastogli.
Il primo impulso suscitato dalla lettura di Come fermare il tempo, già nelle primissime pagine, è quello di chiedersi come gestire una vita destinata a durare all’incirca nove secoli abbondanti, al netto di episodi violenti che la fermino anzitempo. Un’esistenza liberata dalla piaga dell’incombenza, forse persino priva della consapevolezza che non si avranno mai abbastanza giorni a disposizione per leggere tutti i libri, guardare tutti i film o visitare tutti i luoghi che si desiderano. Ancora una volta: sulla carta, una prospettiva allettante. Non ci vuole molto però a capire che la risposta di Matt Haig filtrata attraverso il suo protagonista Tom sia ben diversa.
In fondo, ciascuno tende a far coincidere il proprio limitato orizzonte degli eventi con quello dell’intera esistenza e una volta ri-tarata la propria prospettiva sul millennio la paura di morire viene sostituita dalla noia. “Time is a flat circle” diceva un amareggiato Rustin Cohle in True Detective. Nonostante ogni generazione trovi sollievo e autoaffermazione nella celebrazione della propria superiorità (etica, morale, fisica…) rispetto alle successive, la Storia è un ciclo che si ripete ed ogni cambiamento ne richiama uno precedente.
Se quel che resta è apatia e sconforto di fronte al ripetersi degli errori collettivi umani, il rovescio della medaglia è una visione più profonda e consapevole della condizione umana. Sganciato da un limite temporale fissato in decenni, Tom finisce per perdere ogni punto fermo, compresi i vincoli che lo legano a luoghi, regioni o confini, al punto da mettere in discussione la sua visione del mondo, abbattendo una ad una le differenze che pensava lo separassero dagli altri esseri umani, fino a rendersi conto di essere esattamente uguale nel natura più profonda a qualunque altro esponente della sua stessa specie abbia mai calpestato, o calpesterà mai, questo pianeta.
L’indole fortemente ottimista di Haig, evidente anche dai suoi tweet attraverso cui spesso filtra il percorso che l’ha portato a opporre questo atteggiamento alla vita, maturato attraverso l’esperienza con la depressione documentata in Reasons to stay alive, cova nei sotterranei del romanzo, tenuta per lungo tempo a bada dalla vena melanconica che permea l’intero racconto. Quando emerge tuttavia lo fa con toni un po’ troppo semplicistici, più vicini alla frase da Bacio o alla didascalia motivazione di un post su Instagram che alla riflessione filosofica sulla condizione umana.
Queste considerazioni, spesso affidate ai monologhi del protagonista Tom, si intervallano a capitoli in cui il il racconto vira a volta verso il rosa, altre verso il thriller cospirazionista. Una natura triplice, che si mantiene in equilibrio precario, con un dosaggio degli ingredienti che si alterna in proporzioni variabili, ma che riesce al contempo a non allontanare fino alla conclusione anche chi è attratto in fondo solo da una delle tre anime che compongono la struttura del romanzo.
Quel che ad Haig riesce meglio però è il parlare del presente attraverso il passato. I quasi cinque secoli di vita di Tom sono stati costellati da incontri celebri, da Shakespeare al capitano Cook, senza dimenticare Scott e Zelda Fitzgerald. Ma ancor più interessanti degli aneddoti che li riguardano sono le rievocazioni di situazioni storiche che appaiono lontane solo a un primo sguardo, come la caccia alle streghe o la confusione che ha scosso l’Europa negli anni ’30 del secolo scorso, la cui citazione suona oggi oltremodo sinistra. Se la risposta al quesito del titolo trovata da Tom, al termine della sua missione, porta con sé una buona dose di rassicurazione, le modalità trovate dal resto dell’umanità per fermare il tempo appaiono insomma foriere di conseguenze più preoccupanti.
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