“Si dice che la letteratura consenta tutto.”
Opel, Siemens, Bayer, Alliaz, Tyssen-Krupp, sono marchi che fanno parte della nostra quotidianità: i loro prodotti ci permettono di spostarci in macchina, curarci, assicurare la nostra vita e la nostra casa, guardare la tv, telefonare. I beni rimandano ad aziende quotate in borsa, passate attraverso ristrutturazioni finanziarie e acquisizioni, eppure siamo ancora in grado di andare a ritroso negli anni per risalire via via a una famiglia e al suo capostipite che, afferrata la giusta intuizione, è riuscito ad avviare e far prosperare un’impresa.
Nel febbraio del 1933, 24 stimati imprenditori tedeschi, le cui aziende sono arrivate dritte nelle nostre vite odierne, si accomodarono intorno a un tavolo eccitati, un po’ in ansia, di sicuro curiosi ma, soprattutto, incrollabilmente convinti di fare gli interessi della loro nazione nel miglior modo che conoscevano: facendo i propri. Questi 24 imprenditori sedettero al cospetto di Hitler ed elargirono ingenti donazioni per il partito nazista di fatto creandolo economicamente dopo che Hitler lo aveva creato ideologicamente e politicamente.
Le ombre penetrarono nel grande atrio del palazzo del presidente dell’Assemblea; ma ben presto non ci sarà più un’Assemblea, non ci sar più un presidente, e tra qualche anno non ci sarà più nemmeno un parlamento, solo un’ammasso di macerie fumanti.
Presentandoci questo avvenimento storico come stesse scrivendo l’incipit di un romanzo, Éric Vuillard stabilisce tono, intenti e contenuti di un racconto rigorosamente storico, reso però come fosse una pagina di letteratura all’interno della quale le personalità e i fatti acquistano un’intimità sperimentabile per il lettore solo attraverso la letteratura che non si limita a raccontare, ma riesce a confidare una storia al suo pubblico.
Vuillard ci mostra gli episodi cruciali dell’ascesa del Terzo Reich – tutt’altro che imprevedibile e inarrestabile – ma lo fa come stesse presentando i personaggi di un romanzo: li caratterizza, dà loro una particolare inflessione della voce, ci parla della loro ambizione, della loro pusillanimità, li rende vivi e palpitanti di follie e angosce, facendoli muovere in ambienti all’interno dei quali veniamo proiettati mentre loro scrivono la Storia. Gli episodi narrati sono apparentemente piccoli, a volte quasi gustosamente aneddotici se non fosse per il disastro disumano a cui hanno condotto, ma è l’intento dell’autore quello di usare una sottile ironia, e dissacrante maestria, per rivelare in che modo la mostruosità del nazismo sia stata una combinazione di ottusità e follia, così come di ignavia, calcolo e vergognose sottostime da parte di chi era nella posizione di intervenire.
L’ Anschluss, l’annessione dell’Austria alla Germania nazista, fu tutt’altro che lo sfoggio tedesco di superiorità in fatto di mezzi e organizzazione: assomigliò molto più a una fanfaronata bloccata in tangenziale, eppure. Eppure dall’altra parte del mare, in Inghilterra, la notizia dell’invasione soft venne gestita in Downing Street nel peggior modo possibile, ma non per errori strategici o di calcolo, non per decisioni politicamente scellerate, ma perché l’allora primo ministro inglese, Chamberlain, con Churchill a suo fianco, diede la precedenza all’educazione, all’etichetta. A cena con Ribbentrop, il neo ministro degli esteri tedesco, il gotha della politica inglese nicchiò: c’era un ospite di riguardo che non poteva essere liquidato alla meno peggio, bisognava affidarsi alla sensibilità del gentiluomo nel capire che era giunto il momento di accomiatarsi. Ma le cose andarono diversamente. Da una parte avveniva l’assoggettamento dell’Austria e la riconfigurazione della geografia politica dell’Europa, dall’altra andava in scena un grottesco balletto di buone maniere utile solo a far guadagnare tempo prezioso a Hitler. Mentre il führer si imponeva sull’Austria Chamberlain, per eccesso di buona educazione, postponeva le ragioni di Stato per fingere interesse per le doti tennistiche di Ribbentrop che se la rideva quasi incredulo di fronte a un ossequio tanto ottuso di buone maniere.
Di colpo Schuschnigg è solo nell’erba fredda, sotto il grande cielo invernale, di fronte alle montagne. La finestra diventa immensa. Gli occhi pallidi di Hitler lo guardano.
Il cancelliere austriaco al cospetto del Fuhrer è uno scolaretto nervoso e impreparato, qualche sussulto di dignità di cui si sorprende lui per primo, e poi più nulla se non una resa pietosa. Vuillard ci parla di un’immagine in particolare, scattata a Ginevra nel 1934, in cui possiamo vedere il cancelliere in piedi, la pattina della tasca gualcita, un foglio bianco spiegazzato, sulla destra il profilo scuro di una pianta: tutti elementi che contribuiscono a conferire a Schuschnigg un’aria mesta e disordinata. La foto che arriverà sui libri di Storia è stata però ritagliata. Restringendo il campo, resta la sola immagine del cancellerie che, senza essere circondato da dettagli confusi, sembra acquistare in dignità e personalità. Ecco, L’ordine del Giorno procede in senso inverso: là dove tutto è stato razionalizzato e reso logico, il testo provvede a riposizionare tutti gli elementi dissonanti per consegnare una storia vivida e sfaccettata, in grado di staccarsi dalla pagina e reclamare l’attenzione del lettore dalla prima all’ultima riga regalando, infine, anche un accenno di giustizia.
I 24 uomini di cui abbiamo parlato all’inizio sono gli stessi le cui industrie hanno prosperato durante e grazie alla guerra, e sono sempre gli stessi che hanno preso parte alla ricostruzione dopo la guerra. Nel mezzo, decine di migliaia di ebrei deportati, usati disumanamente come schiavi: chi non è morto nei campi di concentramento è morto di stenti consumato fino all’osso dal lavoro. La condanna dei tribunali e della Storia è stata unanime, ma la letteratura – priva di ogni vincolo anche nei confronti dei fatti – è l’unica che può costringere un aguzzino, trattato dalla società come grande industriale, a fronteggiare la propria coscienza. Allo stesso modo, la letteratura, più che la Storia, può aiutarci a capire la portata degli eventi del secolo scorso annidati in episodi, in incontri, in fatti sottostimati, e ad allertare le nostre coscienze a riconoscere il momento che segna il ripetersi del passato.
Nota
L’ordine del Giorno di Eric Vuillard è pubblicato da e/o per la traduzione di Alberto Bracci Testasecca.
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