Milo è una buon’anima soddisfatta del suo tran tran quotidiano, ormai stabilizzatosi da qualche millennio. Nasce, cresce, dà il meglio di sé sulla Terra – tra inevitabili alti e bassi – infine muore. La fine però è un concetto del tutto estraneo a Reincarnation Blues, il peculiare romanzo di Michael Poore con cui edizioni e/o apre il suo 2018 letterario.
Non c’è fine all’esistenza di Milo perché sono millenni che si reincarna vita dopo vita, secolo dopo secolo, balzando nella catena evolutiva da animali a vegetali ad esseri umani di ogni sesso, religione, attitudine, latitudine ed epoca. Non c’è nemmeno un fine temporale, perché il suo blues ha un ritmo sincopato, che alterna vite proiettate in un futuro lontanissimo a capatine agli albori della storia, in un fluire del tempo che (pare) disorganizzato, inarrestabile, circolare. Anche nell’Aldilà la consuetudine ha battuto il senso di compiutezza, anche se ad ogni decesso ad attenderlo c’è la Morte stessa, Suzie, con cui da qualche millennio Milo ha instaurato una solida ma clandestina relazione sentimentale.
Il motore narrativo di Reincarnation Blues è proprio il suo traguardo, o quantomeno la minaccia della sua esistenza. Dopo la 9995esima vita trascorsa sulla Terra senza aver raggiunto la Perfezione, Milo viene informato che ha solo altre 5 possibilità per raggiungere lo stato superiore di virtù: se non ce la farà la sua destinazione sarà il grande Nulla, una sorta di grande e angosciante buco nero dove non esistono più quanti hanno fallito nell’impresa.
Per Milo non dovrebbe essere così difficile raggiungere la meta: è l’anima più antica tra quelle che vanno e vengono dall’Aldilà, ha accumulato nei millenni una saggezza che gli deriva da esperienze di vita e di morte di ogni tipo. O forse il problema è proprio la comoda routine che si è costruito nel suo ciclo di reincarnazioni, il legame affettivo con Suzie a cui è difficile rinunciare, anche se il premio è la comunione con l’Essere supremo.
È una scelta particolare quella di e/o, che propone un romanzo molto vicino al territorio del fantastico, il secondo lavoro lungo di un’autore che non ha ancora il pedigree tale da creare un immediato passaparola tra quanti bazzicano con costanza le lande del fantastico. Basta leggere qualche capitolo di Reincarnation Blues per capire i motivi di questa scelta: l’ironia è quella scanzonata e paradossale di Douglas Adams (ormai sdoganatissimo anche presso il pubblico mainstream con la sua Guida Galattica), mentre le tematiche portanti del romanzo – pur muovendosi in acque fantasy – hanno un approccio più vicino a Yann Martel con Vita di Pi che a nomi più riconoscibili del comparto SFF.
Il che paradossalmente è un bene non solo per e/o, ma anche e soprattutto per Michael Poore, la cui scrittura si dimostra ben più efficace sul fronte comico o esistenziale che su quello fantastico vero e proprio. Si vede che da lettore e da scrittore di storie brevi conosce i luoghi e i topoi di genere, ma i capitoli “futuristici” di Reincarnation Blues sono di gran lunga i peggio gestiti e meno convincenti. Quando lascia stare futuri lontanissimi che fatica a costruire in maniera credibile fuor di metafora e torna a posare i piedi per terra e sulla Terra, le cose vanno molto, molto meglio. I guizzi ironici sono un’azzardo esposto al capriccio del momento: un’ironia paradossale e britannica come quella di Douglas Adams va dosata sapientemente nella sua componente nonsense e non sempre l’epigono statunitense ci riesce.
Considerando che siamo di fronte a un secondo romanzo, se ne deduce che Poore supplisce con grande applicazione a quel deficit di talento che lo separa dai grandi del genere, capaci di sfornare testi memorabili con un buona la prima. Reincarnation Blues per riflessioni e messaggi non è certamente un romanzo da novellino. La sofferta parabola interiore di Milo, dapprima episodica e caotica, diventa via via puntuale e incisiva nell’anticipare le obiezioni e le risposte facili che anche il lettore tende a dare di fronte alla grande prova che l’Universo pone a Milo. Perché rinunciare a tutto, se può stare con Suzie e tentare di fare del suo meglio, in eterno? Perché non basta vivere (e morire), perché ci deve essere il grande Nulla?
Il romanzo di Poore finisce per somigliare molto al suo protagonista: sul finale acquisisce grande consapevolezza e dà un senso anche alle parti iniziali più deboli, trovando la propria Perfezione letteraria. Per farlo però ci impiega parecchi capitoli, laddove forse uno scrittore più illuminato ci sarebbe arrivato qualche centinaio di vite e morti prima. D’altronde ognuno ha i suoi tempi, musicali e di maturazione.
Reincarnation Blues è una proposta di genere, ma molto accorta da parte di edizioni e/o, che è andata a scovare un nome che si sta affacciando solo ora anche nel panorama statunitense. Il romanzo si inserisce alla perfezione nel filone di quei titoli tormentone capaci di affermarsi presso il pubblico generalista grazie a un uso più che altro allegorico degli elementi di genere e a una riflessione che abbraccia l’università dell’esperienza umana (difficile che qualcuno di noi possa considerarsi estraneo al tema della vita e della morte) con un preciso suggerimento su cosa dovrebbe (e dovremmo) cambiare per tornare a muoverci nella giusta direzione, allontanando l’umanità dal grande Nulla.
Disclaimer: la casa editrice mi ha fornito una copia staffetta del romanzo per formulare un’onesta recensione a riguardo; quella che avete appena letto.
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