Provate a immaginare per un istante di essere il più grande scrittore di fumetti di sempre, oggi, dopo una lunga carriera pluridecennale. Che fareste? Qualcuno probabilmente cercherebbe di monetizzare al massimo gli ultimi tratti di penna, magari accasandosi in esclusiva presso una major americana lasciando che il proprio nome finisca sulle cover di qualche maxi-evento estivo dove i supereroi si schiantano di botte su larga scala (eventoni che divoro con voracità senza alcun accenno di snobbismo, ma non è questo il punto). Qualcun altro invece sfoggerebbe eccentriche camice, raccoglierebbe comparsate nei film ispirati alle sue creazioni, e passerebbe il suo tempo gironzolando per le fiere di fumetti, immortalando baffi e occhiali a specchio nelle pose coi fan. Alan Moore ha altro per la testa.
Il bardo di Northampton, dopo aver rivoluzionato il modo i cui il fumetto viene concepito da chi lo realizza e da chi lo fruisce, se n’è andato sbattendo la porta sul grugno alle major. Prima si è dedicato alle etichette indipendenti, poi ha esplorato altri settori della cultura dalla musica alla magia, ora si è affidato a Kickstarter per finanziare un progetto filmico, autoproduce una rivista di fumetto e critica sociale, ma l’affetto verso carta e penna per fortuna non scemato. Le sue produzioni più recenti si dividono in due filoni, quelle alimentari realizzate per pagare tasse o bollette – ne trovate un esempio recensito su Players #12 – e quelle attraverso cui filtra tuttora la sua passione e abilità nel manipolare il fantastico.
La saga degli Straordinari Gentleman, iniziata sotto l’etichetta ABC e proseguite per i tipi di Top Shelf in America, è l’ultimo regalo di Moore al fumetto. Un epopea a cavallo dei secoli in cui i personaggi della letteratura avventuriera tornano in vita e popolano un mondo dove la realtà è stata scritta sulle pagine dei romanzi. Il viaggio nella storia – con la esse minuscola questa volta, intesa come il grande racconto fantastico che accompagna l’umanità – è iniziato nel ‘800 con i primi volumi ed è arrivata fino alla modernità, fondendo in un unico grande universo narrativo Dr.Jeckill e Harry Potter.
L’ultimo capitolo della saga, Nemo: Cuore di Ghiaccio, è arrivato in Italia a tempo di record, a brevissima distanza dalla pubblicazione originale oltreoceano grazie alla solerzia di Bao, casa editrice che ha acquistato i diritti della Lega con l’idea di proporre finalmente in Italia l’intera opera in formato omogeneo. Questo nuovo capitolo dell’epopea è un breve racconto a fumetti, di una cinquantina di pagine, con protagonista Janni Dakkar, ovvero la figlia dell’originale Capitano Nemo, oppure semplicemente Nemo come la sua ciurma la chiama per diritto ereditario. Giovane e bellissima, Janni ha finalmente abbracciato il destino che il sangue le ha riservato e da cui ha invano cercato di fuggire, diventando il terrore dei mari, brigante la cui fama travalica le onde degli oceani, criminale capace di ogni impresa. Cosa resta da fare a chi tutto ha già visto e provato? La risposta di Janni è un viaggio antartico alla ricerca di uno scopo più grande, una rivalsa postuma sulla grandezza forse ineguagliabile dell’ingombrante figura paterna. Che sia questa la domanda che passa oggi per la testa di Moore, come sopravvivere alla sua stessa fama continuando a scrivere fumetti?
Il viaggio di Moore nella letteratura in questa occasione è particolarmente ostico, molto più di quanto la riconoscibile figura iniziale di Citizien Kane, intento a gestire una difficile trattativa diplomatica, lasci inendere. I riferimenti pescano in abbondanza da una serie di romanzetti d’avventura di cui è difficile aver sentito parlare da queste parti, ma anche questo aspetto costituisce parte del fascino della Lega di Moore, la piccola caccia al tesoro di riferimenti, citazioni, rimandi, inside jokes che non può prescindere da un salto sulle fondamentali annotazioni di Jess Nevin. Senza svelare troppo, è bene sapere che per apprezzare in pieno il pericoloso viaggio tra i mistici ghiacci dell’Antardide può tornare molto utile una ripassata ai miti lovencraftiani, ma se avete seguito le ultime produzioni di Moore non credo di star rivelando nulla di completamente inatteso.
Sgombriamo subito il campo da equivoci, Cuore di Ghiaccio non è la migliore opera di Moore, ma in 56 pagine si divora comunque buona parte dei volumi che gli fanno compagnia sugli scaffali delle fumetterie, perché anche un Moore d’ordinanza che resta nel recinto del fantastico senza scomodare temi alti lascia spazio a suggestioni e intuizioni che pochi purtroppo riescono a trasmettere. Tra i migliori invece l’inserto in prosa che chiude il volume, ironico reportage di costume scritto con lo stile del giornalismo femminile dei primi anni del ’90, ottimamente tradotto – come il resto del volume – da Michele Foschini.
Prima dell’uscita del volume italico firmato Bao si è fatto poi un gran parlare più della confezione che del contenuto. Eh sì, in tempi come questi 13 euro per un volume di 56 pagine non sono certo pochi, ma il volume è di ottima fattura, la qualità della carta eccellente, e un po’ spiace per il formato ridotto applicato alle splendide tavole del sempre in forma Kevin O’Neill, ma si tratta di una soluzione di coerenza in linea con quanto fatto per l’edizione di Century e in previsione dei prossimi volumi che completeranno finalmente la saga de La Lega degli Straordinari Gentlemen in un unico formato. Insomma, quando tra qualche mese Nemo: Cuore di Ghiaccio potrà adagiarsi in libreria affianco alle ristampe dei volumi 1 e 2, e soprattutto alla tanto attesa traduzione italiana del Black Dossier, in pochi si troveranno a rimpiangere le scelte compiute dalla Bao, noi abbiamo ben pochi dubbi in merito.
SCHEDA TECNICA
Titolo: Nemo: Cuore di Ghiaccio
Autori: Alan Moore & Kevin O’Neill
Editrice: Bao Publishing
Pagine: 56
Prezzo: 13 euro
ISBN: 978-8865431382
Se ti piace quello che facciamo, puoi supportarci (o offrirci una birra) comprando musica, giochi, libri e film tramite i link Amazon che trovi negli articoli, senza nessun costo aggiuntivo.
Grazie!
si è rivelato più convenzionale di quanto pensassi, ma l’effetto di “straniamento” di Janni persa in quest’artico “onirico” è molto ben resa